cessi consecrarono con vetuste religioni alla gran dea Vacuna, o sia alla Vittoria, il lago Cutilio, nell’umbilico a Italia1. Ma Dionisio, che per dar forza al suo sistema voleva Arcadi o Enotri gli Aborigeni, confonde tutto con la sua rettorica, nè può seguirsi in questa parte delle sue storie senza acuto discernimento, e senza cautela. Pure i luoghi da lui stesso veduti, e che per l’avanti tenean gli Aborigeni, dallo stato di poveri abituri o di capanne s’erano alzati al grado di vere città fortificate di muraglie: ed anche oggigiorno per quelle cime de’ monti si veggono notabilissimi avanzi delle loro saldissime mura: tra le quali meritano più particolar menzione quelle di Trebula-Suffena, che siede distante cinque miglia o circa da Rieti nel luogo detto Belmonte, il qual si specchia nel Turano, e son fabbricate come tutte l’altre quivi intorno con grandi pietre tagliate a poligoni irregolari. Benchè mal s’avviserebbe chi credesse coteste mura costruzione dei lontanissimi tempi degli Aborigeni, sol perchè o Varrone, o Dionisio, così fattamente le appella2. Opera di un’altra civiltà fu l’arte di munire le terre, e quella forma faticosa di edificazione: nè certamente le mura di cui ragioniamo, a chiunque le vede, son tali da farle presumere lavori di giganti storici; cioè d’una razza d’uomini più antichi e più potenti; poichè a malgrado della loro stabilità non
- ↑ Varro ap. Plin. iii. 12.; Dionys. i. 14. 15.
- ↑ Dionys. i. 14.