tivo, dei soli stranieri; o Tessali, o Liburni, o Illirici che si fossero; i quali venuti dall’altra sponda dell’Adriatico si portarono con furia e terrore sopra i nostri paesani, dando così cagione e incitamento a quelle interne mutazioni che per moli di guerra, per mischianze, e per discorrimenti frequenti di moltitudine d’uomini, cambiarono alla fine l’essere, la dimora e il nome di considerabil parte dei popoli italiani. Grandissimi eventi, toccati in breve dagli scrittori, ma da cui trasse indubitatamente origine un ordin nuovo di cose. Certamente i compilatori delle storie che possiamo allegare, e che riportavano a lor senno ora una tradizione, ed ora un’altra, non tutti convengono in una medesima sentenza: non tutti narrano a un modo gli stessi fatti: e bene spesso pigliando un nome etnico per un altro, o confondono in uno popoli diversi, o cadono in ambiguità. Nè per essere antichi, e classici vuolsi già avere tanta bonarietà, da credere, ch’essi non abbiano mai errato. I vetusti Greci massimamente, al cui fonte beviamo, parlarono in oltre delle cose nostre assai lievemente, e solo per incidenza, nè si piccavano di voler far da critici ricercatori. Con tutto questo se badiamo alla sostanza più che alla forma dei lor racconti, vi si rinvengono ancora ricordanze manifeste di quei notabili avvenimenti, che abbiamo di sopra divisato, e che per qualunque mutazione di sorte non s’erano mai cancellati dalla memoria delle nazioni. Questi successi stessi si ritrovavano d’altronde consentanei alla ragione delle cose, perchè non solo