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156 | CAPO VII. |
e in guerra, che infiacchirono col vigor morale anche l’amore per avanti sì gagliardo della patria. Con tutto questo, sebbene la potenza terrestre degli Etruschi si ritrovasse combattuta da presso quasi nell’istesso tempo dai Romani, Galli e Sanniti: la marittima dai Cartaginesi, Siciliani, e Greci-italioti: pure altri cinque secoli di ferocissime e mai non interrotte guerre furon necessari ad annullare la forza intera d’uno stato antico, che ancor serbava rigogliosi nell’interno buona parte de’ suoi ordini religiosi, civili e militari. Riprova non dubbia della stabile virtù della prima instituzione; non già della fortuna, che non ha tal sorta di costanza.
Tanta era in effetto la possente forza della legge sacra costitutiva, che in combattendo gli Etruschi per la salute di tutti al Vadimone nel 444, vincolati col giuramento di vincere o di morir virtuosamente, parve ai Romani, dice Livio, non più contrastare con nemici tante volte rotti per l’addietro, ma con gente nuova1. Cessata nondimeno forse a trent’anni dopo per nuovo sterminio la dominazione dell’Etruria2: e fu questo l’ultimo sangue versato per la causa della libertà: l’ultimo sagrifizio pubblico a un ordine e ad un governo politico, che per le cangiate sorti non poteva ormai più ostare agli estremi suoi fati. Soggettata la nazione giuridicamente al prepotente im-