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un giorno di neve a milano 79

pompa la si celebra da noi. Talvolta la così detta estate di San Martino1 si prolunga talmente, che la neve non viene se non quando l’inverno è già molto innanzi. Spesso la neve arriva colla pioggia e ci dà lo spettacolo di un uggioso pantano universale. Altre volte poi la neve è piuttosto un saluto dell’inverno che parte; o anche la si passa liscia così, che un forastiero andrebbe poi a dire a casa sua che a Milano non nevica mai. Ma quando quella solennità si celebra, come vi ho detto, oh! l’è bella, l’è deliziosa.... Affacciandovi alla finestra, voi vedete (ove almeno la prosastica pala del municipio non previene il giorno) vedete il suolo tutto istoriato, tutto coperto di orme che vanno sempre più scomparendo sotto nuovi strati di neve i quali sono immediatamente stampati di nuove impronte. Oh, se potessero conservarsi quegli strati, quante cose vi direbbero! Quante cose infatti non si possono leggere su quelle pedate d’uomini, di donne, di bambini alternate in serie a zig-zag sopra altrettante linee, che corrono parallele, o si scontrano, s’incrociano, si scostano, si ravvicinano, come i pensieri che guidarono i passi di quella gente mattiniera! È una vera pagina geologica, come quelle di pietra sulle quali leggiamo, nelle impronte fossili degli uccelli, dei rettili, e fin delle pioggie, gli avvenimenti di un giorno che splendeva mille e mille anni or sono. Gli alberi sono carichi di candido fogliame e di fiori cristallini. I tetti sembrano coperti d’uno strato di soffice bambagia; i fumajoli, mezzo sepolti, soffiano, come altrettante bocche, da una gran barba bianca. I nostri uomini grandi, viventi nei marmi scolpiti o nei bronzi fusi, coperti di grotteschi abbigliamenti, fan tali visacci da muover a invidia la befana. Il passero pigola tra le frondi di un sempre verde, o fa capolino dalla vôlta

  1. È questo un di que’ nomi proverbiali in cui il popolo compendia, non senza poesia, il risultato di secolari esperienze. Questo nome rivela infatti, assai prima che la scienza se ne occupasse, uno dei punti più rilevanti della nostra meteorologia subalpina; uno di quei punti, che di mezzo al caos delle vicissitudini atmosferiche, in un paese soggetto al clima forse più variabile del globo, servono a tracciare i primi lineamenti del sistema regolare, che presiede alla climatologia del globo, e per cui altrove (nelle regioni tropicali per esempio) si alternano le stagioni con una regolarità sorprendente. Nelle regioni subalpine distinguonsi, tra il principio e la fine d’autunno, quasi due stagioni: l’una di pioggie, l’altra di sereno. La prima è quella delle pioggie, che accompagnano l’equinozio d’autunno, volgarmente dette pioggie ottobrine. A queste tien dietro una stagione di sereno, che è appunto l’estate di San Martino. Come le pioggie ottobrine sembrano un’anticipazione dell’inverno, così il sereno che le segue pare un ritorno dell’estate. I limiti di quelle due stagioni oscillano assai da un anno all’altro, anticipando o ritardando di giorni e di mesi. Il caso più normale, e più propizio per la nostra agricoltura, è quello che le pioggie si sfoghino nella prima metà d’ottobre lasciando all’estate di San Martino di occuparne l’altra metà, e di prolungarsi a tutto novembre, e, le circostanze sono molto favorevoli, se a tutto dicembre.