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AGLI INSTITUTORI


Si può egli applicare alle nazioni quell’adagio nosce te ipsum (conosci te stesso), che la sapienza dell’antichità ha posto come base della sapienza dell’individuo? L’autore di questo libro crede talmente di sì, che riterrebbe tempo gettato quello che si impiegasse a dimostrarlo. La cognizione della sua storia, delle sue costituzioni, delle sue leggi, de’ suoi diritti, de’ suoi doveri, delle sua forze, del suo essere insomma, forma la sapienza di una nazione. Qual campo immenso è aperto alla letteratura popolare quando riconosca la santità e l’altezza della propria missione!... Non contesta l’autore alle scienze morali e politiche il primo posto nel nobile aringo. Egli sa benissimo che il mondo fisico non desterà mai quell’interesse che desta il mondo morale. Un libro che abbia per oggetto la cognizione del mondo fisico non caverà una lagrima, non farà perdere un minuto di sonno. Tutti gli incanti della natura non valgono un affetto; tutta la scienza non vale un atto generoso. Una Lucia inginocchiata ai piedi dell’Innominato; una madre che, protendendo le sue, abbandona nelle braccia di un monatto il corpo della figlioletta, faranno sempre maggiore impressione di tutte le più belle descrizioni dell’universo: il quadro del Lazzaretto colpirà sempre più che tutt’insieme i quadri dell’Humboldt. Ma quale conseguenza si intenderebbe dedurne? Che le scienze naturali, di cui nessuno sconosce l’importanza, non possano prestare alimento alla letteratura popolare? Che non siano chiamata alla loro volta a completare quella cognizione che un popolo deve avere di sè? Può darsi anzi il caso che un ordine di ammaestramenti, il quale