Pagina:Stoppani - Il bel paese - 1876.pdf/51


un naufragio imminente 45

colato che la parte superiore de’ suoi fianchi di solito non andava sott’acqua, e quivi le commessure delle tavole lasciavano degli spiragli che l’acqua avrebbe presto scoperti. La barca insomma faceva acqua. I poveri sonatori avevano studiato ogni posizione per evitare un pediluvio forzato; ma infine si trovavano inesorabilmente in molle. Un bagno alle gambe, pazienza! ma a dirla schietta c’era pericolo che la barca si sommergesse davvero, poichè l’acqua non cessava d’entrare, nè avrebbe cessato finchè la barca non fosse ridotta al punto di non reggersi più a galla.

» Che si fa dunque? Una parte della banda passi sopra un’altra barca. Non si pensava certamente che i musici sarebbero tanto indiscreti da recar seco il proprio peso e quello de’ loro strumenti, dopo una lezione così evidente. Ad ogni modo si trovò che precisamente la barca dov’era io, era anche (non fo allusioni vedete) la più scarica. Sulla mia barca dunque passò una buona porzione del corpo di musica, il quale si trovò così diviso in due. Che importa? Le due canore navicelle si tengano a fianco l’una dell’altra, e la musica ricominci. Ricominciò, se ben mi sovviene, un’allegra polka che avrebbe invitato a danzare non che i pesci disotto, anche le rupi d’intorno. Ma che? dai barcajoli delle venete Alpi si può egli attendere che sappiano battere la solfa co’ remi come farebbero i gondolieri della laguna?... Le due barche non sanno andar di pari; e se l’una tende a sinistra, l’altra non lascia per questo di piegare a destra. Una metà del corpo di musica non sente l’altra, e colla distanza delle barche, cresce la distanza delle crome e delle battute, finchè i clarini fanno da sè, e da sè fanno i tromboni; e se gli uni suonano il motivo per proprio conto, suonano gli altri per proprio conto l’accompagnamento.

5. » Intanto l’acqua del lago aveva avuto tutto il tempo di esplorare, punto per punto, quella parte della mia barca, che prima pel minor peso le sovrastava. Scopertevi certe fessure, la vi si insinuava mogia mogia, formando tra le gambe de’ naviganti certi zampilli che non tardarono molto a tradire l’intrusa, mutando il fondo del naviglio in un laghetto. I naviganti cominciavano ad armeggiare di gambe per salvarsi dal molle. Io adocchiavo le fessure, adocchiavo il lido, per misurare, così a lume di naso le probabilità di una sommersione, a cui non mi sentiva disposto punto nè poco. In quella che guardavo il lido, fui colpito dall’aspetto di certe rupi che fiancheggiavano il lago, e mi ave-