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482 serata xxix

degli scellerati. Se parlava della necessità della sua morte per la salvezza del genere umano; tosto ricordava il frumento che deve morire in seno al campo, perchè germini la spiga e biondeggi la messe. Se predicava la necessità di tenerci a lui uniti; faceva presente il tralcio che muore quando sia reciso dalla vite. Lui era il pastore e noi le pecorelle; Lui la chioccia, noi i pulcini. La verità ch’Egli veniva insegnando era la perla ascosa, o il grano di senape destinato a crescere in un grand’albero, alla cui ombra sarebbero venuti a porsi gli uccelli del cielo; la sua parola era il seme, come le nostre passioni erano le spine che potevano soffocarne il germoglio; la grazia ch’egli prometteva era una fonte che sgorga perenne. E via di questo passo fino al cielo che è il trono di Dio, e alla terra, sgabello de’ suoi piedi.

» Ciò ripensando, lo spirito mi si andava sollevando a poco a poco; e, come per effetto di una nuova improvvisa rivelazione, trovava la ragione della nostra natura, che sarebbe altrimenti un problema, per non dire una contraddizione. Perchè mai quest’essere, che siamo noi, spirito intelligente e amoroso, unito ad un corpo materiale simile a quello dei bruti? Ma non è appunto questo corpo che, condensando in se stesso tutti i moti dell’universo, ce lo rivela, ce lo fa sentire, vedere e toccare, dandoci l’unica misura possibile per noi dell’immensità, dell’eternità, di una potenza, sapienza e bontà infinita, rivelandoci insomma, nell’unico modo possibile in via naturale, Dio e i suoi attributi? Sì; la natura è l’espressione più universale e più intelligibile dell’essenza di Dio. Chiusi dal primo nascere entro una spelonca, senza luce, senza suoni, nè sole, nè luna, nè mari, nè monti, nè venti, nè piogge, nè uragani, nè tuoni, nè animali, nè piante; senza idee di distanza, di movimento, di forza, di durata e di cambiamenti; insomma senza alcuna cognizione od esperienza dell’universo, quale concetto potremmo avere di Dio, quantunque conservassimo piena l’intelligenza per impiegare la vita ad udirne parlare? E se così potente rivelatrice è la natura in quanto è semplicemente percettibile anche all’occhio del selvaggio; che diverrà quando le si accosti il lume della scienza? A questo lume novello, che può dirsi acceso da pochi anni soltanto, l’universo si allarga e si sprofonda in tutti i sensi, e già appare estremamente limitato e angusto, ciò che prima sembrava infinito. A poco a poco noi ci andiamo accorgendo che, mentre credevamo d’aver letto il libro, non avevam guardato che il frontispizio; e l’ideale di Dio infinito si accresce nella mente con un cumulo d’infiniti.