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l’etna della mitologia 455

della storia umana si innestano, direi così, sulle prime memorie dell’Etna. Quando si parla dell’Italia e della Grecia antiche, prima di giungere propriamente alla storia, che cosa c’è, Giovannino?»

«La mitologia», fu pronto a rispondere l’interrogato.

«Va bene: abbiamo dei e semidei, coi loro fasti, colle loro prodezze, in cui troviamo simboleggiati i primi uomini, i primi abitatori della Grecia e dell’Italia alle prese cogli elementi. Ebbene, vorrei dire che mezza la mitologia, cioè la storia mitica dei primissimi tempi, si collega colla storia dell’Etna. I Titani, i Ciclopi, Plutone, Cerere, Proserpina, Tifeo, Vulcano, son tutti personaggi che figurano in mezzo ai grandi incendî dell’Etna. Encelado, il capo dei giganti o Titani, osa provocare Giove, e tenta rovesciarlo dal trono? Ecco i Titani armarsi di monti e le rupi volare verso il cielo e ricadere verso terra, formando catasta. Ma Encelado è percosso dal fulmine di Giove, e semiadusto, semivivo, sepolto sotto l’Etna, dove stassi vomitando ancora i fuochi del fulmine che l’ha investito. Sapete voi quale è la causa dei terremoti? È questo Encelado che, schiacciato dall’Etna, tenta rimoversi di dosso l’enorme peso, non foss’altro che per mutare di fianco. Esiodo però la narra diversamente. Encelado, che si chiamò anche Tifeo o Tifone, era figlio della terra, un mostro singolare, con cento teste da serpente che vomitavan fuoco. Allora Giove possente prese le armi, e fra lampi e tuoni percosse dall’Olimpo le teste di quel mostro portentoso, che, vinto dalle percosse e mutilato, cadde e ne tremò la vasta terra. La fiamma in tanto, prodotta dal vibrato fulmine, arder faceva di vivo fuoco la terra per le selve degli aspri monti e la fondeva come lo stagno e il ferro nelle fucine. Scorreva il fuoco pei boschi tutto divorando e il suolo liquefacevasi nelle mani di Vulcano. Tutto questo è narrato da Esiodo nella sua Teogonia. Da qualunque lato poi si pigli la favola dei giganti, ci si trova con sicurezza il mito di qualche terribile eruzione dell’Etna. Forse quelli che abitavano i littorali al di là dello Stretto, o nelle isole vicine, vedendo sprigionarsi il fuoco, slanciarsi da ogni parte il pietrame, là dove abitava una gente nerboruta e feroce, non seppero spiegarsi altrimenti una cosa così singolare, che ammettendo una battaglia fra cielo e terra.

» Pindaro, chiamandolo centipede, dà a Tifeo cento piedi in luogo di cento teste, ma dice anch’esso che i lidi che stringono il mare di Cussa e Sicilia premono l’irsuto petto: ma fisso lo tiene nel suolo la colonna del cielo, l’Etna nevoso. Questo si legge nella