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442 serata xxvii

dal cratere contenuta, erasi rovesciata fuori del cratere, giù sui fianchi del cono: ciò era avvenuto almeno due volte, l’una nell’ottobre, e l’altra nel novembre del 1868. Il cono di piccino fattosi grande e grosso, levava già la sua fronte superba sul genitore, e il vecchio cratere non era più accusato da altro che da un rilievo anulare, come v’ho detto. Presto anche il rilievo sarebbe scomparso, nè sarebbe rimasta del mio vecchio cratere altro che la memoria in chi l’aveva veduto.

7. » La salita alla vetta si era dunque accresciuta così di forse un centinajo di metri, e bisognava superarli se io voleva pigliarmi un’altra volta lo spasso di ficcare il viso nelle fauci del vulcano. Ma come si fa? Il fumo è già incomodo al livello dove siamo, e più che il fumo, i vapori acri e solfurei che affogavano il respiro. Si girò verso est, per trovarsi sulla direzione del vento che soffiava i vapori verso ovest; e con questa manovra potemmo riuscire, quelli che avevano migliori polmoni, a raggiungere il ciglio del nuovo cratere. Vi fu anzi un istante che il vento soffio si forte, che spazzando via i vapori, mi lasciò agio di spingermi fino a una intaccatura del circo, e di cacciare il viso nel cratere. Ma, sì!... Fu come guardare in fondo a una oscura caverna.... fu come guardare in fondo a una pignatta quando leva più forte il bollore. Non ci restava dunque che discendere».

«Sarà stato bello», fu pronto a dire Giovannino, memore di quanto avevo descritto precedentemente. «Sarà stato bello il vedervi tutti discendere giù per quella china a balzelloni, a voli, come ci hai narrato».

8. «Quanto t’inganni! Da quella parte precisamente erano avvenute le ultime eruzioni. La lava aveva tutto mascherato. In luogo di lapilli bianchicci, formanti un piano inclinato, uniforme, facile, in certa guisa scorrevole; non ci si presentava che una specie di secca, una serie, un aggruppamento di muraglie, di gioghi, di spigoli, di creste, di lava nera.

» Vedevasi poi su per giù sostituita alla linea dell’antico sentiero una linea di fumajole, ed esse nascevano da una crepatura, talora larga poche linee, talora qualche metro. Era la crepatura come di una grossa muraglia che abbia ceduto, una crepatura irregolare, a zig-zag, che partendo dal labbro del vecchio cono scendeva fino all’Atrio. Quella crepatura non era chiara dappertutto, giacchè le sabbie, i lapilli, l’avevano in più luoghi mascherata. Ma quella serie non interrotta di fumajole, di praticelli fioriti, ossia di campi di sublimazioni, ne accusavano l’e