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la fase pozzuoliana 437

per sublimazione, o nati dalla reazione dei vapori medesimi contro le lave stesse della Solfatara, vi dicono che l’attività di quel vulcano è tutt’altro che spenta.

» Esso si trova in quella fase di semplice emanazione, in cui si tien pronto a ripigliare da un istante all’altro tutto il suo vigore. Non c’è vulcano che, dopo un’eruzione, si addormenti o temporaneamente o per sempre, senza passare per poco o per molto attraverso questa fase. Quando le dejezioni sono cessate, quando le lave più non ribollono nell’interno del cratere, quando le scorie e le lave conglutinate hanno edificato una robusta vôlta sull’interna fornace; i gas e i vapori trovano ancora facilmente degli spiragli per mostrarsi all’esterno. Una nube leggera oscilla sull’estinto cratere; quà o là sbuffano le fumajole, sgorgano sorgenti calde, si svolgono la micidiale moffetta, o il gas infiammabile, o vapori solforosi, che tappezzano di cristalli di solfo le spaccature e le cavità della roccia. La Solfatara di Pozzuoli è ben lontana dal presentare tutti quei fenomeni che caratterizzano questa nuova fase vulcanica: è tuttavia un vulcano che vi ci si trova e ci persiste da lunghi secoli e, non foss’altro, la sua celebrità è ragione sufficiente perchè deriviamo da essa il nome della fase che essa presenta, cioè il nome di fase pozzuoliana, come dallo Stromboli quello derivammo di fase stromboliana.

2. » Prima di dirvi come il Vesuvio si trovasse in questa fase ai tanti di luglio nel 1869, bisogna premettere che nel 1865, quando lo visitai per la prima volta, io n’ero appena partito che lui si era messo di malumore, brontolando, sbuffando, minacciando ad ogni tratto, di farne una delle sue. Questo stato d’inquietudine gli durava ancora nel 1868. La sera dell’8 ottobre, dell’anno stesso uscirono lave dalla cima del cono e la mattina del 15 novembre, una linea di fumajole, che discendeva dalla sommità della montagna fin verso la metà dalla parte dell’atrio del Cavallo, mostrò d’un tratto che il cono si era squarciato lateralmente. Alla base visibile della fenditura, quasi si trattasse di un tino ripieno di denso liquido, le lave sgorgarono a torrenti. I vapori, soffiando forte entro quella pegola spessa, e buttandone in alto a migliaja pilacchere e brandelli, che ricadendo venivano a conglutinarsi insieme come grumi di cera, improvvisarono dodici coni disposti sopra tre linee convergenti, indicanti che la spaccatura si era diramata in tre in quel punto. Anche la lava in fatti si era divisa in tre fiumi, che formarono quasi un lago sul fondo dell’Atrio, dilatandosi sulle lave più antiche, e di là buttandosi giù per la china, travolgendo bo-