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dagnare quella cima. Noi deviando, come pedoni, dal sentiero che dall’Osservatorio guida al punto dove solevano allora arrestarsi i cavalli, pigliammo a salire il cono immediatamente dal lato nord-ovest. S’attraversano dapprima dei campi di lava a mediocre pendio; poi, quando l’erta cominciava a rendersi più sentita, per evitare le sabbie scorrevoli, faticosissime a salirsi, la guida ci fece prendere il filo di una vecchia corrente di lava, la quale disegnava sulla superficie del cono un cordone irregolare, quasi uno di quei lunghi grumi, modellato in rilievo sopra se stessa dalle lagrime di una candela. Ma che grumo mostruoso! Il Vesuvio veduto dalla parte dell’atrio del Cavallo. miei cari. Una secca, una scogliera, tutta scorie vetrigne, tutta punte e, scaglioni quasi di metallo; proprio una scala di spine.

Non era via da vestito di cappa,

potevamo dire con Dante, sicchè anche noi a mala pena, potevam su montar di chiappa in chiappa1 colle ginocchia in bocca, trafelati, grondanti sudore. È una partita poco dilettevole che dura circa due ore, comprese le fermatelle per pigliar fiato, consolate dalla vista incantevole del golfo che va mano mano spiegando entro un circolo sempre più vasto le sue inesauribili bel-

  1. Inf., C. XXIV.