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scaldarla a tal punto che diventi fuoco, diventi cioè rovente come il ferro, quando esce liquido da un forno fusorio. Per ottener questo basterebbe che io la riscaldassi, impedendole di bollire. Per impedirle poi di bollire non ho che a chiuderla ermeticamente entro un vaso, supponiamo di ferro, il quale sia robusto abbastanza per non scoppiare, come fanno talvolta le caldaje a vapore, quando l’acqua è portata ad un grado soverchio di temperatura. Anzi, è appunto in questo stato di straordinario riscaldamento, che l’acqua acquista la facoltà di sciogliere le sostanze più insolubili, come il vetro, per ricomporlo in cristalli. È a questo modo che il signor Daubrée, riscaldando l’acqua potentemente, e mettendovi del vetro a bollire, è riuscito ad ammannirsi una specie di pappa cristallina, che è veramente una lava artificiale. Ma basta: s’andrebbe troppo per le lunghe se io volessi esporvi le osservazioni, e descrivervi le esperienze, per cui la scienza moderna fu condotta ad ammettere che le lave eruttate dai vulcani non sono che masse di cristalli, impastati coll’acqua. L’acqua stessa è quella che compone i cristalli, quando è trattenuta ermeticamente chiusa in quel gran vaso sotterraneo che è ogni vulcano. Insomma un vulcano che erompe non è nè più nè meno, come vi ho già detto, d’una caldaja a vapore che scoppia; l’acqua, trasformata immediatamente in vapore, erompe nel momento dello scoppio, e levandosi in alto forma il pino, cioè quella nube gigantesca così ben descritta da Plinio. Il fango cristallino invece, gonfiandosi pel rigonfiamento, ossia per la dilatazione del vapore acqueo, che se ne svolge, le vasi a poco a poco fino all’orlo della caldaja, e si riversa a modo d’infocata corrente, da cui tuttavia il vapore continua a svolgersi talora per anni e per secoli, alimentando le così dette fumajole. Le fumajole infatti non son altro che getti di vapor acqueo, sgorganti dalle crepature delle lave consolidate, miste ad altri vapori, a gas diversi, ed a minerali volatilizzati. Non parlatemi più dunque di materie fuse, erompenti dai vulcani. Quella corrente del 1858 di cui vi diceva, ad osservarla superficialmente, si direbbe una massa consolidata di vetro nero o di ferro fuso. Osservate però dove essa fu profondamente tagliata per ricondurvi la via che guida all’Osservatorio. Se vi ha un pochino di fusione, essa si limita a una pellicola superficiale. Nell’interno quella lava è bigia, somigliante ad una pietra comune, per esempio, al granito, ed è tutta da cima a fondo un impasto di cristalli. Ora che sappiamo che cosa sono le lave, cioè di che è composto il Vesuvio, tiriamo avanti fino all’Osservatorio.