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descente, uscendo d’un tratto dalla nera caligine della montagna a guisa di mostruosa apparizione, mostrossi in atto di precipitarsi dall’Atrio, e scese giù rovinosa travolgendo ne’ suoi fiotti infocati tutta la campagna, e i paesi che le acque e i terremoti avessero per avventura rispettato. Quella massa di lava, la più enorme che ricordi la storia del Vesuvio, veniva giù divisa in numerosi torrenti, dei quali alcuni presentavano più d’un chilometro di larghezza. Veramente la montagna si era squarciata, e le sue viscere infuocate si effondevano sulla terra. Imaginatevi che la superficie di quelle lave fu calcolata di quasi 15 milioni di metri quadrati, e il loro volume di circa 73 milioni di metri cubici. Davanti a quei torrenti di fuoco, ardevano le foreste e le campagne, sparivano le case, ogni traccia di vita era cancellata. Il vasto torrente che discese nella direzione di Portici, distruggendo diversi paesi, si avanzò in mare fino a 400 metri, dal lido: un’altra massa, che divisa in due fiumi della larghezza di 1300 metri, distrusse Torre Annunziata e altri paesi all’ingiro, si spinse pure in mare fino alla distanza di 1300 metri. Fu in questo stesso giorno 17 dicembre, che le sabbie e le ceneri del Vesuvio, trasportate dai venti andarono a spargere il terrore in lontane contrade. La nube attraversò l’Adriatico, passò sulla Dalmazia, e così via via verso l’oriente, sicchè videro cadere le ceneri vesuviane Cattaro, Gradichi, Acrio, l’isola di Negroponte, e infine la stessa città di Costantinopoli.

» Il giorno 18 il vulcano continuò a vomitare ceneri, sicchè l’atmosfera era polverosa, e cadevano piogge fangose. Dal giorno 19 al giorno 27 l’eruzione continuò con fasi diverse, non cessando mai il Vesuvio di vomitare materie infiammate, e ceneri, e pietre. Il giorno 28 una parte del grande cratere crollo, e ne uscì di nuovo un torrente di acqua devastatrice. In fine i fenomeni vulcanici, variando di natura e d’intensità, si succedettero ancora per più di due mesi. Manifestamente però il Vesuvio veniva rimettendo delle sue forze, sicchè col principio di maggio era quasi ritornato alla primitiva calma. Allora soltanto poterono i superstiti misurare la portata di quella grande sciagura. Il gran cono, che avanti l’eruzione, superava di 60 metri la vetta più elevata del Somma, ora gli rimaneva 108 metri al disotto. La montagna era dunque rimasta tronca a 168 metri sotto il suo vertice. La forza che l’aveva così decapitata, l’aveva anche letteralmente sventrata; il cratere che prima della eruzione misurava a stento due chilometri di circonferenza, era ora cambiato