Pagina:Stoppani - Il bel paese - 1876.pdf/414

408 serata xxiv

Plinio non voleva spingersi fin là dove fisicamente il potesse! Aggiungi che, come uomo di cuore e comandante una squadra, sentiva il dovere di accorrere ove per avventura potessero richiedersi l’opera sua o il suo consiglio. Immediatamente fa mettere sui remi una galera, e, senza dar retta a preghiere e a consigli, ordina di vogare verso il pericolo. Ben presto la galera si trova sotto al tiro del vulcano: nembi di cenere e grandini di pietre la investono. Avanti! avanti! grida ai rematori atterriti. Già è poco discosto dalla spiaggia di Resina, città chi sa quante volte sepolta, e quante volte risorta precisamente al piede del terribile cono. Ma l’impossibile è impossibile: anche la temerità ha i suoi confini, se no, diviene pazzia. Quell’uomo intrepido però non retrocede, ma soltanto si ripiega alquanto, dirigendosi a Stabia, ora Castellamare, il primo luogo ove si potesse approdare senza esporsi a certa morte. Notate che Castellamare è a circa 14 chilometri dal cratere del vulcano. Qui fa sosta, e rotto dalla fatica, si ritira in una casa a dormire. Intanto il Vesuvio infuria; gli incendi si dilatano spaventosamente; le ceneri e le pomici grandinano fitte, e in tal copia si accumulano nello stesso cortile della casa ove Plinio dormiva, che si teme di vederla presto barricata e sepolta. Lo si risveglia. Ma che si fa? Rimanere?... È morte certa. Fuggire? Ma come si fugge sotto un diluvio di pietre? Plinio e i suoi compagni dan di piglio ai guanciali, se ne fanno cappello per parare la testa, e via, sotto la grandine di pietre che li perseguita. Le vittime della eruzione che si disotterrano a Pompei appajono appunto così imbacuccate. Fu quello un terribile momento! Pure si giunge al mare. Benchè di giorno, è notte fitta quanto può esserlo e il muggito delle onde accusa la furia del mare congiurata col vulcano a rendere impossibile lo scampo. I fuggenti si arrestano, e Plinio (bisogna dire che fosse morto dalla fatica) si butta ancora a dormire. Ma ben presto, scrive il nipote, le fiamme e l’odor di zolfo mettono in fuga gli altri, e destano lui. Ma ahimè! Corpulento, e di respiro naturalmente corto, e affannoso, il povero Plinio si sente soffocare. Due servi lo sostengono; ma egli cade, a quanto pare, asfissiato. Il terzo giorno dopo la sua morte il suo corpo fu trovato illeso là dov’era caduto. Anche oggi, dopo 18 secoli, la scienza può lamentare la perdita di un così grand’uomo, mentre con lui perirono tutte le particolarità relative a quella grande catastrofe».

8. «Come?» esclamò Giovannino; «se Plinio il giovane....».