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402 serata xxiv

suvio e la parte più elevata del Somma è scavata una valle profonda, che accerchia pure il Vesuvio come gigantesca fossa che cinga la torre di una fortezza. Il fondo di quella fossa ha la forma di un gran piano semicircolare, e si chiama l’Atrio del Vesuvio, o più comunemente l’atrio del Cavallo. Avete inteso?».

«Oh sì!» rispose Giovannino per tutti; «benissimo. Ma quella gran nube? quei lampi?».

«Adagio, adagio. Per ora volli soltanto darvi i primi rudimenti della topografia vesuviana. Dobbiamo farci delle corse su quella montagna, e spero che la vostra curiosità si troverà appagata in tutto e per tutto».

«Perchè» insistè Giovannino, «quella gran valle si chiama l’atrio del Cavallo?».

«Perchè fin là ci si può andare benissimo con una cavalcatura. Più oltre, chi voglia salire, bisogna che si raccomandi alle gambe. Fu detto adunque atrio del Cavallo quel luogo ove il cavallo suole arrestarsi. Ma non confondetemi con troppe interrogazioni, se no faremo una Babele, ed io invece faccio conto di descrivervi il Vesuvio un po’ per benino, perchè vi formiate un concetto abbastanza esatto di quei fenomeni che sono tanta parte della fisica terrestre. Questo disegno lo terremo intanto qui sotto gli occhi. Ma quanto è diversa la realtà!... E’ mi pare di essere ancor là alla finestra, in quella sera così tranquilla, con un cielo così perfettamente sereno, a bevermi cogli occhi quella scena incantevole. Come sorgeva maestoso quel cono, inciso nella volta del cielo suffusa di una tinta rosea: quella tinta meridionale, così sfumata, così calda! Quel cono così tranquillo, quasi alitante nell’aere purissimo; nascente da un golfo di smeraldo, coronato di città, sparso di villaggi e di bianche casipole, vestito di vigneti e di ulivi!... Eppure quante volte destossi a guisa di un mostro furente! Quante volte questo golfo, così terso, riflettè, a guisa di specchio gigantesco, i sinistri splendori de’ suoi terribili fuochi! Quante volte questa vaga ed immensa città, ora così lieta, così fiorente, stette, colpita dal terrore, aspettando da un istante all’altro di essere sepolta o inghiottita! Quante volte quella ricca campagna fu cambiata in squallido deserto! Quante vittime umane immolate alle ire inesorabili di quell’Idra! Quanti paesi, quante superbe città, giaciono là sepolti sotto montagne di ceneri e torrenti di lava! Dalla morte di Plinio in fino a noi, quante volte questo golfo, tutto riso, tutto pace, serenità, delizia, divenne teatro di terrore, di desolazione e di morte!».