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non si ridestino, come dal letargo di una morte apparente. Ma si andrebbe troppo per le lunghe. Vi dirò dunque semplicemente come mi aggirai parecchi giorni intorno al lago di Bolsena, cioè a quell’immane cratere vulcanico, che vanta circa 32 miglia di giro, il cui fondo è occupato da un limpido lago, quasi perfettamente circolare, con 22 miglia di sponda. Quell’immenso vulcano, superbo del più grande cratere che si conosca sulla superficie della terra, è circondato da un gran numero di satelliti, cioè di vulcani minori, che vissero con lui e per lui, come i cento vulcani che rizzarono i loro coni e apersero i loro crateri sui fianchi dell’Etna. Passai quindi a visitare i colli Cimini, cioè le montagne di Viterbo, tutte masse vulcaniche, che, prolungandosi da un lato, e formando una gran cerchia elittica, cingono il lago di Vico, prosciugato dai Romani in gran parte. Quella vasta cerchia non è altro che un enorme cratere, di 13 miglia di circonferenza, dal cui fondo, occupato da un lago come il cratere di Bolsena, sorge il monte Venere, un cono vulcanico, il quale, come vedrete, ritrae il Vesuvio nei rapporti col monte Somma. Dal cratere di Vico, mi gettai nell’immensa campagna romana, lasciandomi a destra il lago di Bracciano, ossia un altro gigantesco cratere, della circonferenza di 14 miglia, circondato da una coorte di vulcani minori. Tutta la campagna romana non è che una immensa distesa di ceneri, di lapilli, di scorie, eruttate dai vulcani. Un altro colosso vulcanico è quello che forma i colli Laziali, tra i quali si distinguono i colli Albani, Tusculani, Veliterni, tanto nominati nella Storia Romana. Quei colli, come dissi, non sono che le membra di un solo grande vulcano, le cui correnti di lava corsero fin sotto le mura di Roma; se pure le fondamenta dell’eterna città non furono gettate quando il vulcano era già spento. Non dirò nemmeno una parola di quella grande sede dell’antica ci-

    subì una scossa. Probabilmente il vulcano sottomarino era già in eruzione, e l’altezza delle acque gli impediva maggiori manifestazioni. A’ 10 di giugno ci passava il capitano Carrao, ed osservò in quello stesso punto un gran getto d’acqua, a cui tenner dietro colonne di fumo che si elevavano ad un’altezza di 550 metri. Di ritorno in quel posto a’ 18 di luglio, lo stesso Carrao scorse la testa di un vulcano in piena eruzione che sporgeva dal mare, formava cioè un’isola conica, con un cratere in eruzione, alto 7 metri all’incirca. L’isola crebbe, sempre in eruzione, sicchè, misurata ai 4 d’agosto aveva la forma di un cono tronco e svasato, alto 60 metri sopra una base di 3 miglia di circonferenza. Essendo cessata l’eruzione, il mare fu presto a demolirla. A’ 25 d’agosto l’isola era ridotta a due miglia soltanto, a’ 7 di settembre a meno di un miglio. Nell’ottobre si vedeva ancora come un mucchio di pietre: più tardi tutto era scomparso. Di quell’isola non rimase che il nome, o piuttosto i nomi, poichè n’ebbe almeno sette: Giulia, Nerita, Carrao, Hotham, Graham, Sciacca, Ferdinandea.