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390 serata xxiii

cosa di meraviglioso. Se volete vedere che cosa sia la febbre del lavoro, cercate un di que’ punti, da cui si scoprano trenta o quaranta cave, situate a grandi altezze, a piombo le une sopra le altre, aperte sull’orlo di precipizi vertiginosi, di cui l’accesso si direbbe assolutamente impossibile. Tutto brulica, tutto risuona. In mezzo ad un’onda continua di frastuono indistinto, l’aria vi porta la tempesta dei colpi di mazze e di scalpelli mossi da centinaja di persone, i flebili ululati del corno che avvisa il pericolo, lo scoppio delle mine che fa tremare la terra, il fragore dei massi che rotolano giù giù lunga pezza sui cumuli di rottami, le grida dei cavatori, gli urli dei bovari, il muggito de’ buoi. È qualcosa che vi richiama la torre di Babele, o la battaglia dei Giganti, o la musica dell’avvenire. Ma badate a voi, perchè mal non vi capiti, assorti come siete nella contemplazione di quello spettacolo».

8. «C’è dunque pericolo?» domandò una delle mamme.

«Certamente, per chi non istia continuamente in guardia. Prima di tutto, lo scoppio delle mine. Figuratevi l’effetto mostruoso di quelle mine, scavate talvolta fino alla profondità di 20 metri, ove si versano fin 2000 libbre di polvere. Quali enormi spaccature devono produrre nella montagna, e che gragnola di sassi lanciare all’ingiro! Guai a chi toccano!».

«Ma non hai detto che c’è il corno che avvisa del pericolo?» domandò la Marietta.

«Il corno c’è difatto, un corno naturale che consiste in una di quelle grosse chiocciole di mare, dette tritoni, forate con troncarne l’apice, a cui si aggiustano le labbra come alla bocchetta di un corno artificiale. Le avrete vedute queste chiocciole in bocca a quelle statue mitologiche che ornano sovente le fontane dei giardini, e son detti Tritoni, donde il nome che i naturalisti impongono alle conchiglie di cui vi parlo. Ma il suono emesso da quelle conchiglie è così cupo, così monotono.... riempie l’aria talmente, che torna difficile all’orecchio il distinguerne la direzione. Dove salvarsi, principalmente chi non abbia pratica dei luoghi, chi non conosca la situazione delle cave, restando esse per lo più nascoste all’occhio di chi si trova per via? Lo zio Carlo mi narrava ancora con ispavento che, trovandosi un giorno alle cave con un amico, si erano fermati a riposare in un certo sito. Per buona ventura avevano pigliato seco una guida. Si ode il terribile corno. La guida senza punto scomporsi, accenna loro una rupe dove porsi al riparo, dicendo: Ora badino là davanti. — Si