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un barbaro spettacolo 383

rivolto alle rupi che la fiancheggiano, me lo vidi passare davanti minaccioso. I bovari, uno per ogni pajo di buoi, armati di pungoli, o seggono tranquilli sul giogo colla faccia rivolta al carro, o camminano al fianco del carro stesso, intenti alle mosse del pesante monolito. Ma che diamine oscilla di lungo e sottile dietro il carro!... un carro colla coda?... la è cosa nuova davvero.... To’.... Che è quel coso che vien giù ruzzolando per la via, intoppando, urtando ad ogni tratto, sobbalzato incessantemente a destra e a sinistra in mezzo a un nembo di polvere? Vedi.... è un masso anche lui che scende democraticamente a piedi dietro l’aristocratico fratello che lo precede in carrozza. M’avete inteso?» M’accorsi che non avevano inteso niente.

«Dunque mi spiegherò. Per quanto quei carri abbiano dei freni, costrutti s’intende come Dio vuole, rotando per un pendio talora assai ripido, potrebbero facilmente esser vinti dal peso formidabile dei monoliti. Che fecero essi i buoni Carraresi per garantirsi in un caso da quei subitanei capricci? Imaginarono il freno che vi ho descritto.... ossia che vi descriverò ora. Dietro al carro annodano una lunga catena, e all’estremità libera di essa legano un gran masso, supponete, di un metro cubico e più, il quale, facendo il riottoso a modo suo, lasciandosi strascinare a tutto corpo per terra come un ragazzaccio caparbio, urtando, balzando quasi in preda a convulsioni tetaniche1, serve di freno al carro, che arrischierebbe altrimenti di andar ruzzoloni giù per la china. E mi faceva proprio l’effetto di quei tali che noi scapatacci chiamiamo codini: buona gente che il tempo trascina avanti per forza, mentre essa vuole per forza rimanere addietro, e intanto serve di freno alla società che, per foga d’andare avanti, arrischia talvolta di andar giù a capo fitto nel precipizio.

«Ero tutto assorto nel contemplare quello strano spettacolo, quando a un tratto il convoglio s’arresta. Anche il masso di dietro rimane immobile, come colpito da sincope. Così avviene ad ogni tratto, appena su quella via disastrosa si presenti un intoppo. I buoi son lì, immobili, pietrificati, quasi dicessero: noi siamo pazienti quanto robusti; ma non si pretenda da noi l’impossibile. — L’impossibile?... lasciate ai bovari la cura di trarre da’ quei corpi affranti una forza, di cui nessuno li crederebbe capaci. È un feroce spettacolo, vedete, che si rinnova le cento

  1. Il tetano è una malattia nervosa, per lo più mortale, che stira e convelle i nervi con ispasimi atroci. Il suo nome deriva dal verbo greco tetno = io stiro, distendo.