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un po’ di predica sulla provvidenza 355

ghi lontani dalla loro ordinaria dimora. — Quando io arrivai a Queeren — dice l’Heugli — tutto il bestiame, coll’infinito moscheto che suole accompagnarlo, si trovava lontano nelle bassure della Barza. Osservai che i pipistrelli erano eccessivamente radi. Verso la fine della stagione delle piogge tutte le mandre erano tornate al paese, arrestandosi durante un mese all’incirca nelle vicinanze. Contemporaneamente comparve un numero incredibile di pipistrelli, di cui non rimase più nemmeno la traccia, appena gli armenti si furono di nuovo allontanati —».

8. Stavo per chiudere la mia lunga conversazione, quando una delle mamme, osando appena volgere uno sguardo fuggitivo al povero rinolofo, che se ne stava ancora inchiodato sulla sua tavoletta, prese a dire: «Non posso negare che il naturalista trovi sempre nello studio della natura qualche cosa di curioso e d’interessante. Ma codesti pipistrelli son pure le brutte bestie. Se non temessi di dire uno sproposito, vorrei domandare se il Creatore non poteva fare a meno di riempire l’aria di bestiacce così orribili e schifose. Non valeva egli la pena di moltiplicare piuttosto gli uccelli che ci dilettano del colore delle loro piume, ci rallegrano del loro canto, e ci prestano all’uopo uno squisito alimento?».

«Cara cognata», risposi, «hai fatto bene a mettere avanti il piede coll’esprimere il timore di dire uno sproposito. Noi dovremmo far sempre così: anzi dobbiamo star certi di dire uno sproposito, ogniqualvolta ci viene la tentazione di far la critica alla natura, poichè la natura, come opera di Dio, non può essere che perfetta. Dovremmo tenercene certi anche quando non sapessimo in nessun modo renderci ragione del bene, che è lo scopo unico, immancabile, di tutte le create cose. Parlando poi di questi poveri pipistrelli, così odiati, perseguitati, mi pare d’averne detto abbastanza per esigere che non siano calunniati come animali nocivi, od anche semplicemente inutili. Vi sono tanti beni, tanti vantaggi, di cui noi non ci accorgiamo fino a quando non ci tocchi di sperimentarne la privazione, e il danno che da essa deriva. È sentenza volgare, per esempio, che non si apprezza il bene della salute se non quando s’è ammalati. Così dicasi di tutti i beni che ci largisce gratuitamente la natura. Verrebbe in mente a un bambino di andare in visibilio per l’aria che si respira, per l’acqua che si beve? Ma quando ci sarà accaduto di trovarci anche solo in mezzo ad una calca, in un ambiente chiuso, o di camminare qualche ora sotto la sferza del sole, su d’una strada