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332 serata xix

drappelli d’avanguardia. Certo più tardi incontreremo l’esercito. Il ramo frondoso si agita, fischia pel cieco aere, e quei piccoli drappelli si sgominano e fuggono stridendo come topi. Alcuni di quei mal capitati vanno intanto a raggiungere la prima vittima della battaglia entro la bolgia di canapa.

» Siamo al pertugio di terribile memoria senza che nulla giustifichi la dipintura che io aveva fatto di quelle orde di pipistrelli, che mi avevano fatto dare addietro. Stavolta mi vi slancio anch’io con un coraggio da leone. M’aveste veduto!... Ma che? non c’era niente, niente affatto, come se i pipistrelli fossero tutti morti.

10. » Potei allora osservare a tutt’agio come, oltre il pertugio, la caverna si biforchi: a sinistra, una specie di crepaccio, molto angusto, a pareti quasi verticali, ma che si leva in alto assai, perdendosi nelle tenebre; alla destra una volta stretta e bassa, abbastanza regolare, da cui uscivano gorgogliando le acque ad alimentare il torrentello che percorre la caverna ed esce all’aperto. Condensando possibilmente tutta la luce delle nostre candele entro il crepaccio, si riusciva a illuminare debolmente la volta, la quale non potè più nascondere una colonia di pipistrelli piuttosto densa, che vi si era piantata. Ma invano si sarebbe tentato di raggiungerli colle solite armi; i rami frondosi erano troppo corti. Allora eccoti il signor Major, animato dalla vicinanza della preda, aggrapparsi alla sinistra parete del crepaccio, ajutandosi di mani e di piedi, quasi al modo stesso degli animali, a cui dava la caccia, cercando di guadagnare una specie di gradino sporgente, donde sperava di arrivare colle pertiche fino ai pipistrelli. Lo raggiunse infatti colla più destra delle due guide. Io, rimasto coll’altra, feci atto, per guadagnar tempo, d’inoltrarmi per l’altra via.

» — Dove va, signore? — mi grida la guida. Di là non si passa!

» — Diacine! — risposi meravigliato, — non si passa?... Perchè non si passa? —

» — Nessuno è mai andato più in là, — mi rispose la guida, coll’accento di chi vedesse il Cerbero accosciato sulla soglia di quel sotterraneo, o un’Idra, che volesse farmi in sette bocconi, o una Circe che per tutta gentilezza dovesse mutarmi in majale1.

  1. Secondo le antiche favole elleno-italiche Cerbero era un cane, con tre teste o più, che custodiva l’inferno; — l’Idra un drago spaventoso con sette o nove o cinquanta teste, che rinascevano mano mano che si tagliavano; abitava nei dintorni della palude di Lerna nell’Argolide (parte del Peloponneso o Morea); Circe, una maga di origine divina, la quale abitava l’isola Eea presso il promontorio Circeo, oggi monte Circello. Dicono che mutasse in majali i passeggeri che si lasciavano adescare alle delizie del suo palazzo incantato.