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328 serata xix

cadono d’estate, quando si approssima il temporale; ma chi avesse esaminato quei goccioloni, che si arrestavano sul suolo o sugli abiti, non li avrebbe certo scambiati per goccie di pioggia. Poi sulla mia testa, sui fianchi, a destra, a sinistra, là in fondo, un sommesso chiacchierio, un cinguettio interrotto, come di gente che bisbigliasse. E la pioggia, e il cinguettio, e tutto andava cre scendo, mano mano che ci andavamo avanzando nelle tenebre.

5. » — Che diavolerìo è codesto? — Sono le sgrignàpole, dice la guida; e levando in alto la fiaccola, e traendone, a furia d’agitarla, guizzi di più vivida fiamma, riesce a spargere di luce fioca e vacillante la buja vôlta del misterioso recesso. Levo gli occhi quasi paurosi e.... oh meraviglia!... Se esagero, ditemi che io mento. La volta era tutta ricoperta da una specie di panno nero, che discende a drappelloni, a fiocchi, a cascate. Migliaja e migliaja di pipistrelli vi stavano aggrappati. Un primo strato ricopriva letteralmente la volta della caverna; poi un secondo si addossava al primo, poi giù giù un terzo, un quarto, formando come un gran coltrone vivente, da cui pendevano grappoli enormi di quei brutti animali, appiccicati gli uni agli altri, avviluppati gli uni negli altri, precisamente come fanno le api, penzoloni dalla bocca dell’alveare, quando sta per separarsi il nuovo sciame, o quando il nuovo sciame si raccoglie pendente dal ramo ove si è posata la novella regina. È appunto quel popolo di nottole, che sta cinguettando, tramandandosi forse la notizia dell’importuna nostra apparizione; e voi sapete così di dove provenga quella schifosissima pioggia, e perchè si formi il molliccio che insudicia il piano della caverna.

» Per quanto io sia naturalista, imaginatevi quale orribile impressione mi dovesse produrre il trovarmi sotto quel cielo di pipistrelli. Confesso anzi il mio debole: io sento tutto l’invincibile ribrezzo che ha il genere umano per quella schifosa progenie. Il peggio si fu quando parecchie delle nottole, a cui sapeva male di lasciarsi accecare dal fumo, cominciarono a sbrancarsi e a svolazzare nella caverna, in cerca di posto migliore. Io le vedeva disegnarsi come ombre vaganti sul chiaroscuro dell’aria, o sul bianco delle pareti; ne udivo il rombo dell’ale, come d’un soffio che passi rasente l’orecchio, e parevami a ogni tratto di sentirmi sul viso le carezze di quelle ali, o l’urto di quei corpi schifosi.

» La nostra guida godeva a più non posso delle mie smorfie, delle mie esclamazioni, del mio riso (perchè alla fine la era cosa