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incontro spiacevole sotterra 327

scorre, per dilatarsi tosto in ameno e fertile bacino. A circa mezz’ora di cammino, eccoci a Entratico, un miserabile villaggio sulla sinistra del fiume. Si ascende per erbosi pendii un’altra mezz’ora incirca, finchè s’incontra un piano ondulato, dominato da una fattoria. Limitato è il piano a oriente da un promontorio, sparso di rade piante, è coperto d’un mantello sdruscito di erbe ed arbusti, da cui traspare l’ignuda roccia. Questo promontorio, tronco verticalmente verso il piano, lascia vedere un gran foro, quasi circolare, che accenna di avanzarsi profondamente in seno alla montagna. È la bocca della celebre caverna. Un ruscelletto gorgogliante esce dalla soglia della spelonca, scende a zampilli, a cascatelle, e va a smarrirsi nel piano. Facciamo un po’ di sosta sull’ingresso del sotterraneo, per tergere il sudore, e non esporci repentinamente alle frescure che ci attendono; quindi, preso per guida il massajo della fattoria, ci avanziamo entro le viscere della montagna.

4. » La buca del Corno mantiene per lungo tratto la forma di una galleria alta, spaziosa, a volta abbastanza regolare. Scavata nel calcare, che forma l’ossatura di quelle montagne, potrebbe dirsi una galleria di marmo bianco. Le pareti sono affatto ignude, scarse di stalattiti. Solo a 100 metri circa dall’ingresso, si apre sulla destra una galleria laterale, o piuttosto una cupola. Dalla vôlta, la cui curva si perde nelle ombre di eterna notte, scende un gran masso di stalattite, quasi una cortina di un gran parato da letto, che è una maraviglia a vedersi. Ma avanti! chè ci stimola la brama di meraviglie ben più decantate.

» Gli ultimi raggi che il sole, riflesso dal verde tappeto della campagna, c’inviava per la bocca dello speco, si smarriscono e muojono nel bujo uniforme, che non distingue il giorno dalla notte. Procedevamo in silenzio.... Chi può difendersi da quel senso di ribrezzo che nell’uomo, creato per la luce del cielo, inspirano sempre i misteri di una caverna? Precedeva la nostra guida, agitando a volte a volte una fiaccola, cioè un ramo resinoso da cui si svolgeva una fiamma bianca e rossigna, guizzante in mezzo ai globi di denso fumo, che si disperdevano, disegnandosi a spirali e cirri, volubili e cinerei, sul fondo immobile e nero. — Che cosa è questa, amico mio? Chi avesse visto in quel punto il mio viso auggiarsi, l’avrebbe senza dubbio indovinato. Il piede si affondava in qualche cosa di molliccio, di appiccicaticcio, di cui il suolo era coperto, e le rupi sporgenti, schifosamente impeciate. Poi si sentiva un certo rumore, come di goccioloni che