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314 serata xviii

plebe. Spengo quel fuoco; poi, vestito da mago, colla magica bacchetta, pronunciando scongiuri, lo ridesto in faccia all’attonito volgo. Ad operare il portento mi basterebbe un solfino.... avete capito? Forse quel fuoco, tenuto spento ad arte negli altri giorni, si accendeva nelle feste di Vulcano, a edificazione del credulo volgo. L’è una mia pensata, vedete; ma la non mi pare assurda.

5. » La mattina non volli partire senza prender commiato da quella fiamma così rispettabile per la sua antichità. La tempesta notturna aveva rinfrescati assai quei gioghi e quelle valli, e vi spirava l’umida brezzolina che noi sentiamo più tardi nelle ultime settimane d’ottobre. Le rupi gemevano ancora, e goccie di pioggia si staccavano a larghi intervalli dagli alberi, o rimanevano sospese, come gemme tremolanti, alle foglie. Arrivato alla fornace, trovai la vampa che strideva come il giorno precedente, e dentro il recinto stesso della fornace, un pacifico montanaro che se ne stava col dorso rivolto al fuoco, le gambe aperte le mani didietro, a pigliarsi una buona fiammata. Mi venne da ridere, al vedere quell’uomo riscaldarsi così pacificamente la schiena a quel fuoco che mi aveva messo in vena di poesia la sera innanzi. Trovai del resto la cosa naturalissima. Come noi respiriamo l’aria e beviamo dell’acqua che Dio ci provvede dappertutto; così quei di Barigazzo si riscaldano a quel fuoco, di cui Dio fece loro un presente speciale; e mi pareva di vedere quei poveri villici nelle mattinate d’autunno, quando salgono al monte, e la sera quando ritornano cogli abiti umidi dalla brina, far sosta e godere una buona fiammata. E d’inverno, quando le nevi imbiancano quelle romite contrade, mi figuravo i buoni montanari darsi il ritrovo intorno a quella perenne baldoria. Questi pensieri soffocavano quasi interamente quell’altro, che pur voleva far capolino: il pensiero cioè dell’utile che si potrebbe ritrarre da quella sorgente di calore».

«Qual’utile se ne potrebbe cavare?» domandò Giovannino.

«Eh mio caro, quando c’è calore, c’è tutto, o almeno il più. Parlo in riga d’industrie. Supponiamo che la fiamma che vi ho descritta sia quella d’una buona fascina che si consumi in 10 minuti. Avremo consumato 6 fascine all’ora, 144 al giorno, e 52,560 all’anno. Non ti pare che con 52,560 fascine si possano alimentare camini, far bollire caldaje, attizzare fucine assai? Nè parlo soltanto di Barigazzo; perchè di getti di gas idrogeno, di fontane ardenti, ce n’ha pure altrove».

«Per esempio?» chiese l’Ambrogina.