venzione della lanterna di sicurezza. Dopo un giorno di riposo
bisognava esplorare la galleria senz’altro, e per farsi lume, bisognava
pure andarci colla candela accesa, o con una delle lanterne
usuali. Le gallerie sono però d’ordinario così vaste, molteplici,
immense, che difficilmente si poteva adunare in un sol
giorno tanta copia di gas tonante, da convertirle veramente in
un barile di polvere. Di solito il gas non aveva tempo che di
occupare alcune parti delle gallerie, naturalmente le più elevate,
essendo assai più leggero dell’aria; avviene anzi assai spesso che
il gas riempia le vôlte della galleria, mentre sul suolo, e fino a
certa altezza, l’aria rimane respirabilissima. Che faceva dunque
il povero fireman? Coperto di abiti bagnati, come trovo in quel
libro che vi ho già citato1, nascosto il viso sotto una maschera
con gli occhi di vetro, con una verga in pugno che terminava
in una candela accesa, il fireman penetrava nella galleria. Quivi,
gettatosi boccone, si avanzava come un rettile col ventre a terra,
spingendo innanzi la canna, colla candela, sicchè il gas, scoppiando
nelle regioni elevate, possibilmente non lo offendesse. In
alcuni luoghi bisognava ripetere l’operazione ogni giorno, e in
altri fin due o tre volte al giorno. Ma avvenne pur troppo, e
più volte, che il gas si fosse soverchiamente ingrossato nella
galleria, e il povero fireman rimanesse vittima del suo dovere.
La miniera di La-Tour, nel dipartimento della Loira (racconta
il Bianconi), era straordinariamente soggetta alle invasioni
del gas infiammabile. L’8 di giugno 1818, un certo Bonin scendeva
nel pozzo a far la sua parte di accenditore. Appena uscito
dal tino, in cui era disceso fino al fondo, il suo lume trovossi
in contatto con una gran massa di gas tonante. L’esplosione
ebbe luogo sull’istante, e fu spaventevole. Bonin, sbattuto a
terra, in mezzo alle fiamme che gli si erano appiccate alle vesti,
seppe ancora, con energia pari alla imminenza del pericolo, e
con meravigliosa imperturbabilità, trascinarsi fino alla gora, ove
si radunano le acque che filtrano nell’interno, e vi s’immerse.
Là, cogli urli della disperazione invocava un soccorso, che nessuno
poteva sul momento apportargli. La violenza dell’esplosione
aveva sguernito il pozzo, e tutti gli attrezzi erano stati lanciati
in aria, insieme con un altro sciagurato, certo Bouquet, il quale,
trovandosi alla bocca del pozzo, fu balestrato alla distanza di
100 metri».
- ↑ Bianconi, opera citata.