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gasometro improvvisato 275

bile, la scena era di molto cambiata. Già vi dissi che noi eravamo saliti su per un canalaccio di fango disseccato; e ora capite senz’altro come quel borro adusto e crostoso non fosse che l’emuntorio della salsa, cioè il canale del fango, asciutto per difetto di alimento. Difatti l’attività dei vulcanetti era molto meno appariscente; i fianchi dei coni non erano percorsi da ruscelli di fango, ma cospersi quasi di bianca cenere, secchi e screpolati; la melma non si riversava più dai piccoli crateri, ma gorgogliava serrata loro nella strozza; quel lago di fango ribolliva ancora, ma non traboccava; la doccia non era più un fiume di belletta, ma un solco cotto e scoriato dal sole.

11. » Lo stesso cono maestro non dava più sgorghi di fango, ed era là bianco, asciutto come uno stinco. Asceso fino al suo vertice, per vedere che ci fosse di nuovo, trovai che il cratere era vuoto: era umido però, e giù in fondo si sentiva l’acqua gorgogliare, col borbottio d’una bottiglia quando si mescono i primi bicchieri. Il gas infiammabile non era adunque diminuito, e volli godermi uno spasso. Mi feci a plasmare colle dita la duttile argilla, in modo che il labbro del cratere, assottigliandosi e allungandosi, venisse a formare una volta sul pantanetto; e del cratere non rimanesse che un piccolo orifizio, di qualche centimetro di luce, nel centro della volta. Voi capite come riuscissi così a costruire quasi una campana sul piccolo vulcano, e come la campana potesse farvi l’ufficio come di un gasometro. Il gas infatti vi si doveva raccogliere in tanta copia, e acquistarvi sufficiente tensione per produrre un getto continuo di gas attraverso l’angusto orifizio, che serviva di becco a quel lampione improvvisato. Allora gli diedi fuoco, ed ecco una fiamma, di circa mezzo metro d’altezza, levarsi perenne, guizzando luminosa sulla punta del cono, benchè splendesse il sole presso al meriggio. Aveste veduto come rimase quella brigata di villici, che ci si era nel frattempo fatta d’attorno! Ridevano, si fregavano le mani e susurrandosi a vicenda all’orecchio, e’ si vedeva che macchinavano qualche cosa, come di trarne profitto».

«Eh! avranno pensato al certo», volle interpretare Giovannino, a farsi lume la notte, o a cuocervi la polenda».

«Bah! come t’inganni!... Sai che cosa macchinavano!... di mettere paura a un certo loro camerata superstizioso, facendogli credere ad una apparizione notturna. Bel profitto, n’è vero?».

12. «Come mai» si fece a chiedere Giovannino, «si presentano tali fenomeni in quel luogo».