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264 serata xvi


«La zia ha mandato a prendere un brum1 e mi ha detto che ti venissi a pregare....».

«Ah! capisco, capisco.... birboni!... Lascia ch’io mi vesta.... Eccomi!... Il cappello?... Eccolo quà. I guanti credo che ci saranno.... va bene! Ah! dimenticavo gli occhiali.... e ci vuol anche la tabacchiera, n’è vero? Andiamo.... Abbi pazienza; vo a pigliar la pezzuola. Eccomi, finalmente.... Aspetta che io dica alla Teresa, se viene un certo tale....». E Giovannino impaziente e paziente ad un tempo, mi pedinava, descrivendo tutti i miei mille zig zag. Scendiamo le scale, si monta in carrozza, e via.

3. Ecco, dicevo fra me; — che importano il freddo, la neve, il vento, la pioggia? A Milano, c’è tutti i comodi. Basta che uno se li voglia pigliare. Quando non si ha carrozza di suo, si manda a prendere un brum.... Ma, adagio.... si manda a predere un brum.... Per novantanove centesimi della popolazione il brum è un lusso tale, da non se lo permettere che nelle grandi occasioni. Il vento, la pioggia, sono certamente incomodi; eppure tanti zoppi, o sciancati, tanti che hanno i piè ciocchi2 o soffrono d’asma, di reumi, di gotta, tanti vecchi cadenti, tante vecchierelle tremolanti, preferiscono sfidarli, anzichè cavare una lira dal borsellino per procurarsi un conforto che è una vera necessità. Tanti una lira non l’hanno; e tanti ne hanno, ma così contate, che una lira con cui pagasi un brum, se la troverebbero mancare più tardi. Una corserella in brum, è, su per giù, un quinto della giornata di un giudice, un quarto di quella di un maestro di scuola, un terzo di quella di uno scrivano, una metà, e fors’anco i tre quarti della giornata di un operajo. Tutta gente che oltre la propria, oltre quella della rispettiva metà, hanno le cinque, le sei bocche fresche da contentare, salvo appendici maggiori o minori; e bisognerebbe che, per porsi in bilico, in quella giornata del brum la famiglia digiunasse per un quinto, per un quarto, per un terzo, per una metà, per tre quarti, e se fa d’uopo, nemmeno si sdigiunasse. Quanti (specialmente donne vedove, e madri di famiglia)

  1. Quelle vetture da un sol cavallo che stanno postate per le vie in servizio del primo che le noleggi, a tariffa stabilita dal comune. Scrivere brougham mi pare ormai un’affettazione, era anzi tentato di scrivere brumme, parola che suona bene e avrà forse il vantaggio di essere annoverata fra le denominazioni onomatopèiche. Ma pensai: sono Lombardo, il che vuol dire che non ho in fatto di lingua, i diritti civili. Quando l’ultimo facchino di Firenze vi dirà per esempio: «Signore, desidera un brumme?» allora scommetto che la parola si troverà deliziosa, quanto i semelli, i chiffelli, i fiaccheri, ricevuti a braccia aperte da chi riduce tutta la lingua all’uso fiorentino.
  2. In milanese piè dolci.