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una giornata di pioggia 261

sarci pare un delirio d’infermo, che dia le volte sopra un letto di spine. In città poi!... oh in città!... si vede.... Ma che si vede, se appunto non si vede niente? Chi stà rinchiuso nella propria casa, non si affaccia nemmeno alla finestra per guardare. Le vie sono deserte, nè si sente che lo scroscio della pioggia, monotono e increscioso come il ronzio di una postema nell’orecchio, e interrotto a volte a volte soltanto dal rumore dei cocchi. I più loquaci diventano taciturni senza saperlo; i più allegri, melanconici, i più miti intrattabili senza volerlo. In ogni animo, mortale la noja; su ogni bocca perenne lo sbadiglio. Solo, per distrarsi, gli abitatori delle soffitte e degli abbaini, fortunati sempre ad un modo, hanno le gocce che filtrando dai tegoli mal commessi, chete, furtive, scendono a continuare un disegno senza nome, quale lento lento si avanza sulla tela che nasconde i magri travicelli.

Nelle stanze a terreno, sulle pareti, è una vera fantasmagoria di figuracce, che nei tempi secchi si contornano di certe auréole saline, e ora sembrano animarsi, vestono colori più intensi, forme più spiccate, e, fatte vive, sudano e gemono che la è una vera tristezza.

Chi esce, cacciato fuor di casa dalla pura necessità, tiene gli occhi bassi, solo inteso a schivare le pozze. Che se li alza, si trova davanti o la lurida vista di enormi panziere che si incollano a femminili talloni, o il dorso d’un uomo frettoloso, i cui tacchi con moto alterno sollevano una tempesta di zacchere, che dal lembo dell’abito gli salgono sempre più rade ma più petulanti fin sulle spalle, fino alla nuca.

Se si vuol vedere qualche cosa di bello non c’è che tenere il capo basso e guardare il selciato. Il selciato!... Sì, il selciato di Milano.... così bello, così vario, così bizzarro, che, a cercarlo, non se ne troverebbe un altro simile in tutto il mondo. E pensare che egli è tutto un musaico di pietre pellegrine, le quali, misurando prima lentamente per secoli e secoli la lunga via, portate sul dorso degli antichi ghiacciai1, quindi ruzzolate dagli antichi tor-

  1. Un dei fatti meglio chiariti dalla geologia moderna è lo straordinario sviluppo presentato dai ghiacciai delle Alpi, anzi di tutte le regioni del globo in un’epoca molto antica, ma che i geologi, avvezzi a contare gli anni per milioni, chiamano recentissima. Pare che l’epoca glaciale abbia preceduto immediatamente la comparsa dell’uomo in sulla terra. I ghiacciai del nostro versante alpino si avanzarono fino ai lembi della nostra grande pianura, allora coperta dal mare, e si tuffarono nel mare stesso raccogliendo sul dorso lo sfasciume delle Alpi, e depositandolo poi quaggiù dapprima come impasto di ciottoli alpini e di conchiglie di mare, poi in morene gigantesche, le cui reliquie costituiscono la prima serie delle colline prealpine alli-