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258 serata xv

lavora collo zappone quanto basti a smuovere dal fondo del pozzo tanta terra quanta ne contiene una corba (o un secchio, ciò poco importa) di mediocre grandezza. Fatto questo dà il segnale ai compagni; il tornio gira, ed eccolo risorto. Cala il secondo a cui non rimane che di riempire la corba col materiale già preparato dal compagno, e tosto è ritirato. La corba compare poi per la terza, tirata da una corda che gioca separatamente. Quel pugno di terra rappresenta un lavoro enormemente sproporzionato al prodotto; le sofferenze di due uomini e il pericolo di due vite.

» Dunque, come vi dissi, toccava il turno al vecchietto, il quale si allacciò allegramente la corda ai fianchi, e giù si perdette rapidamente nel bujo. Il mio oriolo non segnava ancora i due mi nuti che il vecchietto aveva dato il segnale, e poco dopo usciva bravamente dal pozzo, rendendo testimonianza di quella prudenza che lo aveva scampato fino a quel giorno. Toccava la sua volta ad un uomo nel fiore della virilità, alto della persona, nerboruto, con un petto d’Ercole, vero tipo di quella razza robusta che abbonda nell’Emilia, e giustifica i fasti degli antichi Romani. Di scese con quel fare baldo e sprezzante, che pareva dicesse: — Se laggiù trovo la morte, la strozzo. — Un istante dopo una serie di tonfi cupi, lenti e misurati annunziarono dal fondo del pozzo che il lavoro ferveva. Io teneva gli occhi fissi sull’oriolo e il vecchietto alla fune. L’indice segnava già i due minuti; ma il campione non dava alcun segno, come se il tempo che scorreva non fosse quel breve intervallo che lo separava dalla morte. I colpi cessano.... silenzio.... Immediatamente il vecchietto, curvo sulla bocca del pozzo, vi lascia cadere un — oh! — cupo e roco, che voleva dire: — Sei vivo? —; e un — oh! — più cupo e più roco, echeggiando dal fondo, diceva: — Son vivo! — Io stavo, ve l’assicuro, in gran pena, trattenendo il respiro, quasi col rimorso di assistere ad una scena, che per essere tanto ripetuta, non torna meno terribile. Quei minuti mi erano parsi un gran pezzo; l’oriolo mi pareva che rallentasse a dismisura; il vecchietto insistette, vociando più impazientito: — Andiamo! andiamo! — Il cenno fu dato, e il tornio cominciò i suoi giri. I tre minuti erano tocchi appena. Quel colosso d’uomo, in cui aveva forse giocato un tantino l’amor proprio del mestiere, come avviene a tutti, e penso in egual grado, dal generale in campo al guattero in cucina, comparve alla bocca del pozzo, come uomo trasognato, che guarda senza vedere, ascolta senza intendere. Si sdrajò sul terreno, rimase alcuni momenti come pensoso, poi si stropicciò gli