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256 serata xv

Ma state a sentirne di più belle, che si riferiscono allo scavo dei pozzi.

8. » Vista l’operazione che v’ho detto, mi affrettai a discendere più basso dove si scavava il nuovo pozzo. Quel gruppetto di lavoratori era di quattro quando io vi arrivai; un quinto si sentiva parlare di dentro il pozzo, a pochi metri di profondità, nè tardò a far la sua comparsa, sospeso, oscillante come un pendolo sul nero abisso, ma senz’altro pensiero che la meraviglia di trovarsi ad un tratto in faccia a testimoni inaspettati. Ebbi campo allora, interrogando i pozzari, di conoscere le più minute particolarità del loro tristo mestiere.

» Finchè lo scavo del pozzo discende poco lontano dalla superficie del suolo, in guisa che vi si possa respirare liberamente, i pozzari lavorano a còttimo, cioè a un tanto il braccio; e questo tanto cresce in misura della profondità. Ma quando si è più basso, il naso, gli occhi e i polmoni dei pozzari accusano il nemico vicino; cominciano cioè le emanazioni gasose, e un lavoro regolare, continuato, riesce presto impossibile. Cessa allora il còttimo, e si lavora a giornata. Più il pozzo si sprofonda, e più i gas escono fitti e intollerabili, finchè si arriva al punto che l’operajo non può rimanere in fondo più di pochi minuti, pena la vita».

«Perchè il gas idrogeno non è respirabile, e l’aria non vi si rinnova sufficientemente, n’è vero?» osservò Giannina.

«Se si trattasse, come tu dici, di semplice asfissia, l’elemento sarebbe anco meno indomabile: ma trattasi di avvelenamento. Fu già osservato in America come i gas, che si sviluppano dai petroli, esercitano sull’organismo un’azione, che si può paragonare a quella di un altro gas, detto ossido d’azoto, o anche gas esilarante, perchè produce in chi lo inspira una specie di ebbrezza, accompagnata, dicesi, da sensazioni piacevoli. Ma è una ebbrezza che, durando un po’ di tempo, uccide. Chi assorbe quei gas (mi scriveva quel signor Maurizio Laschi di cui vi ho parlato, e che ebbe campo di verificarne più volte l’azione nello stabilimento della Società montanistica vicentina), chi assorbe quei gas, anche in piccola dose, è colpito, colla rapidità del fulmine, da una specie di esaltazione e di delirio; perde immediatamente la vista, traballa, e stramazza a terra. Bisogna portare l’infelice all’aria aperta, slacciargli le vesti, premergli i fianchi per eccitare meccanicamente la respirazione, scuoterlo coll’accostargli l’ammoniaca alle narici, e a suo tempo confortarlo con vino e bevande spiritose. Questo brutto scherzo fanno i pozzi di Miano, e lo fa-