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254 serata xv

di una serie di pozzi artesiani nel Sahara orientale, per estenderne l’irrigazione.

» I pozzi, armati di palme fesse, discendono da 45 a 80 metri. Trapassata tutta la grossezza del terreno detritico sabbioso, s’incontra pel solito un gesso impuro, schistoso (cioè quasi composto di foglie gessose sovrapposte). Talora il gesso è sostituito da uno strato argilloso bianco-verdastro. È il tetto del mar sotterraneo che scorre nelle sabbie. L’acqua, appena traforato il gesso, sgorga impetuosa, trascinando seco molta sabbia in sospensione, che, col diminuire della forza ascensionale, a misura che cresce l’altezza dell’acqua nel pozzo, si depone sul fondo, creando un ingorgo alla sorgente. Bisogna purgarlo, perchè l’acqua compia la sua ascensione e fluisca dalla bocca di esso.

» L’operazione di spurgare i pozzi dalle sabbie, è orribilmente penosa per gli Arabi. Una semplice forca, piantata alla bocca del pozzo, sostiene una corda che scorre sulla traversa, ed a cui è confidato il paniere, che il pozzaro deve riempire. Una seconda corda è fissa al fondo per mezzo di un peso, e serve al pozzaro di ajuto e di segnale. Il pozzaro, razza per lo più tisica e abbrutita dall’abuso del kif (specie di canapa che si fuma), si riscalda a un gran fuoco, scende nel pozzo, s’immerge nell’acqua fino alle spalle, e fermo all’armatura del pozzo, fa le sue abluzioni, mormora la sua preghiera, tossisce, sputa, sternuta, si soffia il naso, fa una serie d’inspirazioni e di espirazioni assai fragorose, poi si lascia sdrucciolar giù attenendosi alla corda. Riempie il paniere e rimonta. Se fa segno di soccorso, un altro si precipita immediatamente nel pozzo. L’autore vide anche precipitarsi un terzo in ajuto dei due, e rimontare il primo sopra il secondo, il secondo sopra il terzo. Ciascun pozzaro non fa che quattro viaggi in un giorno, riportando al più 40 litri di sabbia in tutto.

7. » Voi meravigliate di tanta barbarie: eppure ce n’è poco meno da noi. State a sentire. Per visitare i pozzi di Miano bisogna discendere nella piccola valle detta del Rio Campanaro. Non vi aspettate nulla di ameno, nulla di pittoresco. Io non mi trovai sott’occhio che un borro arido, sterile, come scavato entro una montagna di cenere, sparso di tumuli che gli davano l’aspetto quasi di un cimitero abbandonato. Quei tumuli non accennavano in vece che pozzi scavati, poi otturati, cioè riempiti di terra, perchè esausti. Nella parte più bassa vedevansi ancora tre o quattro pozzi, che mi si indicarono come attivi, e più oltre scorsi un gruppetto d’uomini, intenti a scavarne uno nuovo,