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252 serata xv

o in fondo ad una gora, o a mezz’aria, tra due precipizî; uno che si leva alle stelle, l’altro che si sprofonda negli abissi, si sente compreso di quell’orrido sublime per cui ti danno le Alpi così intenso diletto. Se vuole i larghi orizzonti, se vuol dominare le cime che nuotano come i marosi nel cielo, gli bisogna affaticare l’anelito sulle vette arditissime tra le più ardite. Nell’Apennino tutto l’opposto: le valli sono deserte, in balia dei torrenti che le rodono; i fianchi dei monti son tutti in isfacimento: sui terreni che smottano un sentiero non ci si regge, e un’orma appena impressa si cancella. Le smotte del terreno si temono dai contadini nell’Apennino, come da quelli delle nostre Prealpi le grandini. Case, con pezzi di terreno coperti di alberi, sdrucciolano talora dai fianchi dei colli, fino al fondo delle valli, senza scomporsi. Perciò i villaggi coronano le alture, e si guardano dalle opposte vette: d’altura in altura corrono le strade e i viottoli, che talora si svolgono come un nastro ondeggiante, quasi segnando il filo di una gran lama guasta dal tempo. Il viaggiatore domina sempre i luoghi bassi. Oh come fu deliziosa quella gita lungo l’angusto sentiero che scorreva di vetta in vetta, di pendio in pendio, sempre sul filo dello spartiacque! Alla destra il Ceno, che si sforza per giri e rigiri di raggiungere il Taro: alla sinistra il Parola, il Camparola, il Dordone e altri minori torrenti, erranti per entro a un labirinto di colline, talora coperte di verdura, talora rase così che non vi scorgi un filo d’erba, talora giardini, talora deserti di ceneri. Ma lo sguardo sorvola quelle alture, e si posa sull’immensa pianura, ove si distendono i pingui colti, ove biancheggiano, come lini distesi al sole, tanti villaggi, tante città, e giù giù fino al Po, accennato da una striscia nebbiosa nel lontano orizzonte, e ancora giù giù fino al mare, se la vista fosse men corta. Anche l’Apennino è bello, co’ suoi boschi di castagni, colle sue rupi di serpentino, così brulle, nere, irte, adocchiate un giorno bramosamente dai tirannelli che vi piantarono i loro covi. Ora le rupi e i castelli non servono che a rompere la monotonia di un paesaggio, che per poco non ci diventa troppo uniforme e monotono. Ma voi volete trovarvi finalmente a vedere quei pozzi di petrolio, di cui promisi parlarvi, quasi fossero una novità, anche dopo aver veduti quelli di Salsomaggiore. Vi ha molti di tali pozzi petroleiferi sopra una cert’area attraversata dall’immenso letto del Taro; ma una novità veramente non sono, nè io vorrei parlarvene, se non avessi avuto la fortuna di vedere come si scavano; se pure è fortuna il vedere ciò che, appena a pensarci, mi fa raccapriccio».