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236 serata xiii. un poeta ciabattino


» Quì passa agli elogi del donatore, e lo ringrazia che abbia voluto assidersi al suo rozzo e cruccioso deschetto, dov’egli trascina da tanti anni la vita:

Romita ed oscura, per colpa del mondo,
     Che in duro lasciommi silenzio profondo,
     Che volle sepolta nel pianto e nell’ira
                                   La mesta mia lira;
La lira che diemmi benigna natura,
     Che forse di Pindo1 toccava l'altura,
     Se non l’addentava con empia perfidia
                                   La squallida invidia.

» Ma il poeta si consola con religiosa filosofia. Egli ha veduto che tutto è ombra e chimera quaggiù:

Che i cocchi, le danze, le ninfe amorose,
     Le trecce dorate, le guance di rose,
     Non valgano a fronte del fervido e pio
                                   Pensiero di Dio.

» Vi so dir io che il mio piccolo uditorio rimase al sentirsi recitare quei versi scritti da un ciabattino. Tutti vollero farci i loro commenti; nè mancarono quelli delle mamme, le quali imaginatevi se avrebbero trascurata l’occasione di far intendere ai bambini quanto possa l’ingegno sorretto da una buona volontà, mentre loro, con tanti soccorsi di educazione, non erano ancor buoni a nulla: — Chè la ci vuol tutta —, dicevano, — a farvi metter giù la testa per mandare a memoria qualche riga di lezione. — Tuttavia ciò era vero soltanto per alcuni di quei ragazzi, che si distinguevano tosto fra gli altri, a certi occhiacci, a certe faccie raumiliate, che, volendosi nascondere, appunto si rivelavano. Io mi approfittai di quella diversione per levarmi».

«E la terza meraviglia?» grido Giannino accortosi della mia mossa.

«Cioè la seconda....» corresse Marietta.

«Seconda o terza che sia, basta per questa sera. Addio!».

  1. Lunga catena di monti, che dipartendosi dal monte Scardo (Ciar-dagh) forma l’ossatura di tutta la penisola greca. Era sacro alle Muse, cioè alle dee inspiratrici dei poeti, secondo la favola.