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234 serata xiii


» Omero cieco e mendico, che erra per le greche città facendole risonare de’ suoi canti immortali, si vuole che sia un mito, ossia una favola; ma il poeta ciabattino è un ciabattino davvero, che vive e veste panni, che batte il cuojo e tira lo spago, e potrebbe ripetervi dolorosamente quei periodi ch’io lessi d’una sua lettera, scritta in un’ora di scoraggiamento, poichè si lagna del capriccio della fortuna, — che mi ha gettato (egli dice) qual merce vilissima su questa terra, vera officina di miserie, e che m’ha conficcato tra lo squallore delle lesine e delle ciabatte, perch’io consumassi nel duolo il corso della mia vita, a confusione della poesia, ed a trionfo e sollazzo della svenevole turba degli animi volgari —».

«Ma è dunque un uomo altrettanto colto quanto infelice costui», riflettè una delle mamme profondamente commossa.

«Più che colto, è veramente poeta, come vi dissi. Le poesie dello Stromei, quelle almeno che ci venivano recitate dal nostro ospite con una vena da non dirsi, sono satiriche, come quelle di tutti i poeti popolari, da Aristofane al Porta ed al Giusti. Non ho paura, vedete, di paragonare lo Stromei a quei sommi satirici di cui si gloriano le letterature antiche e moderne. Ma qui c’è veramente di che maravigliare, chi ripensi, come lo Stromei scrive di sè stesso, e con semplicità pari alla verità: — ch’io sono un poverissimo calzolajo, e che tutto il mio studio l’ho terminato col Libro delle Vergini, quand’io non aveva neppur imparato a sillabare: che sono marito e padre di quattro figli che aspettano il pane quotidiano dal mio materiale mestiere, e che debbo pensare seriamente ad accattare l’esistenza per ciascun giorno collo spago e colla pece, e che perciò non mi è dato di poetare se non in qualche momento che mi riesce di rubare al sonno della notte, ed alla ferrea mano della sventura, che mi tiene oppresso sotto il potere del tiranno bisogno —».

«Mette freddo a sentirlo parlare così il povero uomo:» soggiunse quella delle madri che aveva fatto poc’anzi l’altra riflessione. «Parmi che vi si senta piuttosto la vena dell’elegia1 che quella della satira».

«Eh! non direste così se aveste sentito il nostro ospite quando ci recitava certe strofe piene di canzonatura veramente ora-

  1. Gli antichi Greci usarono dapprima il nome di elegia per designare la poesia in cui si rimpiangeva qualche caro defunto; poi la estesero a tutte le poesie di soggetto flebile o melanconico.