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prezioso, cioè il solfuro di mercurio o cinabro, che nasce dalla combinazione del mercurio collo zolfo. Bisognò vincere mille difficoltà perchè quest’industria vi prosperasse. Dal 1856 al 1870 si ebbe un prodotto di 324,856 chilogr. di mercurio o argento vivo. Il 1870 ne diede 34,776. Quelle miniere ricordano un fatto che può darvi un’idea delle difficoltà che s’incontrano in tali intraprese, e della virtuosa ma troppo ignorata milizia che trovasi impiegata in tali guerre contro le terribili forze della natura. Il fatto è narrato dal signor G. A. De-Manzoni, attuale affittuario delle miniere, a cui l’industria mineraria di Agordo deve moltissimo, e a cui ebbi il piacere di stringere la mano appena uscito la mattina in sulla piazza.

» La notte dal 30 al 31 ottobre 1860 il lavoro dei minatori procedeva sotterra coll’usata regolarità. Da alcuni giorni piogge torrenziali imperversavano su Vallalta; impetuose le acque precipitavano per ogni dove, lungo le chine dei monti, a ingrossare i torrenti, che, travolgendo insieme alle onde turbinose masse enormi di rocce e alberi schiantati, minacciavano distruzione a ogni ostacolo lungo il loro corso sfrenato. Opportuni provvedimenti venivano presi in quell’ora a difesa dei pericolanti edifizi; tutto presagiva all’aperto una notte d’inferno, ma nessuna cagione d’inquietudine pel sotterraneo. D’improvviso un rombo sinistro nella miniera percosse gli orecchi degli operai: una grossa colonna d’acqua da un mulino del piano superiore irrompeva a tutta forza pei pozzi e per le gallerie, filtrando rapidamente attraverso gli scavi riempiti. Dato il segnale d’allarme, i minatori di fazione uscivano a frotte dal sotterraneo, aggruppandosi tutti sul piazzale della galleria O’ Conor. Di minuto in minuto nuovi lavoratori, delle più vicine abitazioni, interrotto il riposo, accorrevano volonterosi, tacitamente offerenti l’opera loro nel momento del pericolo. In mezzo alle tenebre di quella notte d’orrore, rotte solo quà e là dalla pallida e vacillante fiammella di qualche lampada da minatore che sfidava il soffio del vento, sotto gli scrosci d’una pioggia diluviale, sul margine d’un torrente straripato e vorticoso, i soldati dell’abisso, raccolti in solenne silenzio ma imperterriti, attendevano imminente l’ora dell’esercizio del maggiore dei doveri, il dovere del sagrificio. Il Dirigente, afferrata una lanterna, si precipitava intanto nel sotterraneo, e con corsa affannosa ne eseguiva, in breve ora, una generale ricognizione. Le acque, irruenti senza tregua, bagnate le aride terre dei piani superiori, cominciavano ad esercitare una pressione enorme sugli