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il cent’erbe 233

averle trovate irremissibilmente brutte la prima, tollerabili la seconda, vi riesca forse di dirle anche belle la terza. E son belle davvero, d’una bellezza moresca, d’una bellezza da sfinge1 cogli occhi neri, le guancie brune e sode così, che pajono getti di bronzo. Ma non v’ho detto dei bambini. Vi assicuro ch’io sono rimasto a vederli. Se uno di quei piccini se n’andasse in cucina, e si pigliasse due cenci già licenziati dal lavapiatti, e se li buttasse dattorno, così alla moda dei greci eroi, cioè come vien viene, lasciando che il vento li aggiusti a suo modo, v’assicuro che a Tocco potrebbe parer vestito degli abiti di festa. Di simili cenci non ne vidi altrove che a Londra. Eppure Tocco è una grossa borgata che può meritare il nome di città, e, come ogni città vantare le sue meraviglie. Tre erano le meraviglie di Tocco al tempo che io ci andai. Prima meraviglia il cent’erbe».

9. «Il cent’erbe?... cosa è codesto?» domandarono gli uditori.

«Credo che oggimai lo troverete facilmente nei nostri caffè. Il cent’erbe di Tocco è liquore conosciuto assai nel Napoletano, dov’era anche in voce di anticolerico. Si ottiene colla distillazione di erbe aromatiche, ed è liquore gustoso, piccante e stomatico. Questa è dunque la prima meraviglia di Tocco. La seconda son le sorgenti di petrolio: la terza poi, e la maggiore di tutte, un.... un poeta ciabattino».

10. «Un poeta ciabattino!...» scoppiò a dire sghignazzando e facendo gli occhiacci tutta la nidiata.

«Sì, un poeta ciabattino; e se vi torna meglio, un ciabattino poeta».

«Sarà un qualche torototella2», volle ribattere Giovannino.

«Un torototella!... tutt’altro. Ho detto un poeta e lo mantengo. Il poeta ciabattino si chiama Domenico Stromei3.

  1. Leone favoloso, col capo di donna, simbolo di Neith, dea della sapienza. Dinanzi ai templi egiziani si vedono ancora lunghi viali fiancheggiati da figure di sfingi di pietra. Hanno tutte il volto conforme al tipo particolare della nazione egiziana, a cui somigliano per qualche rispetto i lineamenti delle donne di Tocco.
  2. In Lombardia chiamansi torototella quei menestrelli o cantastorie d’infima lega, che battono i mercati e le fiere, apostrofando il terzo ed il quarto con versi improvvisi, scipiti e spesso insolenti, accompagnandoli con uno strumento che è la canzonatura del violino. Esso consiste in una semplice verga un po’ arcuata, su cui è tesa una corda di minugia, che arriva da una estremità all’altra, passando attraverso al ventre di una zucca da tenervi il vino, alla quale sia stato segato il collo. Onde il ventre della zucca serve ad un tempo di ponticello e di corpo. Ad ogni strofa il torototella dà una buona fregata coll’archetto a quello strano strumento, cavandone un gemito od un ronzio piuttosto che un suono, e l’accompagna coi lazzi e colle smorfie più svenevoli. Ma ormai di tali trovatori è quasi spenta la razza.
  3. Dello Stromei furono pubblicate molte poesie d’argomento serio; nessuna, credo, delle satiriche, che sono le più caratteristiche. Recentemente apparvero: I Marsi, L’emissario Claudio, L’emissario Torlonia, poemetti di Domenico Stromei Aquila, tip. Vecchioni, 1875.