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224 serata xiii

troppo vere! Comprese mai bene il ricco che cosa sono le angosce del povero?... Dimmi, Chiarina, quand’è che tu sapesti il tuo nome?». La fanciulla mi guardò cogli occhi attoniti, come chi meraviglia della domanda, eppur sente di non poter rispondere. «Il tuo nome», continuai «non l’apprendesti al certo quando il padre tuo lo suggeri per la prima volta al prete, che ti battezzò Chiarina. Ma il babbo, la mamma, i fratelli, le sorelle, cominciarono da quel momento a chiamarti Chiarina; e mille volte al giorno dalla tua culla udivi quel nome, e ogni volta con quel nome un sorriso che incontrava il tuo sguardo, una carezza sulla tua guancia, un bacio sulle tue labbra. E tu apprendesti in quel nome a riconoscere te stessa, a rispondere baci, carezze, sorrisi. Quel poveretto invece, forse abbandonato vagente sul crocicchio di una via, non ebbe mai a cui rivolgere i cari nomi di babbo e mamma. Chi non ha genitori, non ha fratelli, non ha sorelle, non parenti, non amici, non ha nessuno che lo chiami per nome. Domandi tu forse il nome al pezzente che ti chiede la carità? Forse il primo che domandò il nome a quel poverino, fu il carabiniere, perchè aveva bisogno di riempiere una casella nel rapporto, col quale consegnava all’Autorità il piccolo vagabondo. Di tali cose, e di peggiori, quante ne avrei a dire!... Chiarina.... non hai mai ringraziato Iddio di avere un nome?... ebbene, ringrazialo stasera. Quel poveretto non l’aveva....

2. » Guardimi il Cielo ch’io voglia con tutto ciò far torto a quelle buone popolazioni, e sopratutto agli ospitalissimi Toccolani, tra i quali dovevo soggiornare. Anzi le notizie che si avevano circa quel primo tronco di strada, erano assai rassicuranti: sicchè la paura oso appena far capolino tra le risa, i motti e gli allegri discorsi, che abbreviarono assai le noje di quel viaggio: nè ultimo argomento di facezie erano le premure del signor Vitale, che, seduto a cassetta a fianco di quel vetturale dalla faccia scomunicata, si credeva in dovere di fargli balenare sotto gli occhi di tratto in tratto il suo bel revolver; per ripulirlo.... s’intende.... per vedere s’era all’ordine.... Solo ci affliggeva che il buon dottor Beggiato dovesse appena sorridere quando noi ridevamo. Poveretto.... egli era sordo, profondamente sordo. Ma dolce essendo di cuore, paziente e nobile d’animo, non faceva mistero, vedete, della propria sordità, come molti hanno la debolezza di fare. Anzi, pensando piuttosto a rimediare al suo difetto che a celarlo, girava armato di un cornetto acustico di assai rispettabili dimensioni, esibendolo a chiunque volesse volgergli