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208 serata xii

tagne del Lario e della Valtellina. Quando nera scendeva la notte mi ricordo con quanto piacere vedevo accendersi i rami di pino fessi e sfilacciati, e le cortecce accartocciate di betula: ed io stesso godevo di agitare nell’aria quelle faci primitive, udendovi stridere il vento e vedendone gocciare, come stillicidio di fuoco, la resina infiammata. Ecco le lucerne più antiche, quelle stesse lucerne che guidavano i passi erranti dei primi abitatori delle nostre terre, i quali non conoscevano ancora l’uso del ferro, e spaccavano i tronchi con azze di pietra, e davano la caccia alle fiere con frecce di selce, a modo dei selvaggi d’America1. La resina, che geme dagli alberi, adoperata a inzuppare e intonacare la canapa, ci prestò le torce a vento, le quali segnano forse il primo passo nell’arte dell’illuminare. Queste, vidersi poi tardi agitate in aria dai lacchè, i quali, secondo un barbaro uso, cessato da poco tempo, che sostituiva gli uomini ai cani, precedevano di corsa, ansanti e trafelati, i cocchi dei signori, rotanti per le città sepolte nelle tenebre. Trovossi poi che tanti altri prodotti del regno vegetale e del regno animale, la cera, il grasso, gli olî, potevano sostituirsi alle resine, e si fabbricarono candele e lucerne. Saranno però circa 80 anni che le più splendide e le più ingegnose lucerne non differivano gran che da quelle lucernine di terra che scopriamo nei sepolcreti romani, o da quelle, poco dissimili per la forma, benchè di metallo, che affumicano ancora sospese alle pareti, o infisse nel rozzo lucerniere di legno, i casolari dei villici. Quando brillarono i primi argands2 e quando i lampioni, armati di specchi convergenti, furono appesi, a larghi intervalli, lungo le nostre contrade, parvero inondare il mondo di un mare di luce. Ma ora quelle lucerne pajono cieche, perchè

    e gli Svevi: nel 409 si stabilirono nella Spagna meridionale a cui lasciarono il nome di Vandalucia (Andalusia): nel 439 presero Cartagine (Tunisi) e la fecero capitale del loro regno, esteso tra la catena dell’Atlante e le rive del Mediterraneo. Di là andavano pirateggiando per tutti i lidi d’Europa: e nel 455, sbarcati alle rive del Lazio, per 14 giorni saccheggiarono Roma con una smania così feroce di guastar tutto, che il loro nome passo in proverbio a significare — la rabbia del distruggere senza utile proprio od altrui.

  1. Fra gli oggetti dell’industria preistorica, che si scoprono nei laghi e nelle torbiere di Lombardia, su cui abitavano i popoli primitivi d’Italia, certo assai tempo prima degli Etruschi, si distinguono dei tizzoni spenti, dei mozziconi mezzo abbruciati, i quali sono evidentemente residui di antiche fiaccole. Di tali oggetti si vede esposta una bella collezione nel Museo Civico di Milano.
  2. Amato Argands, al fine dello scorso secolo, inventò le lucerne a lucignolo, tessuto in forma di cilindro cavo, che i toscani dicono lucignolo a calza, o calza da lume. Esso luciguolo è poi difeso esteriormente da quei tubi di vetro, che più specialmente si indicano da noi col nome di argands. Altri ne vuole inventore un certo Quinquet, onde il nome di quinquets dato dai francesi a così fatte lucerne, che una volta in Toscana si chiamavano lumi inglesi.