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un ballo notturno 165

tutto i lembi della parete che divide le narici. Anch’io, stomacato e stizzito di quella barbarie, che vi ho descritta, mi volsi al primo che mi trovai a fianco, e dissi, quasi me la pigliassi con lui, come si fa colla prima vittima che s’incontra, quando si è arrabbiati: Codesto è un abuso! una indecenza!... Che vuole? mi rispose con molta pace il Loretano; qui si costuma così. E si costumava davvero così, se ce n’era abbastanza, per tenere in piedi quattro o cinque di quelle officine, come me ne assicurava il fatto, e il vedere camminare miste alla folla diverse persone che avevano già subita l’operazione, e si tenevano sbracciate, o per paura di lordarsi le maniche, o perchè quel bel affresco facesse miglior presa. E’ mi pareva che le autorità locali avrebbero dovuto impedire quel turpe mercato, non foss’altro, per ragione di decenza. Mi sapeva male, del resto, che i forestieri, i quali, traggono numerosi a quel celebre Santuario, ne prendessero occasione di accusare noi di barbarie; e di superstizione il nostro culto e le nostre credenze. Ma finiamola con queste cose spiacevoli.

8. «La sera (vi ricorderete che siamo ancora alla vigilia della festa), tutta quella folla si era diradata, dispersa, cercando ognuno il proprio alloggio presso i particolari, che traggono guadagno da quel concorso di pellegrini. Una certa parte però si era concentrata sulla gran piazza, che offriva una scena molto curiosa. La si vedeva sparsa di numerosi crocchi, in cerchio serrato, a cui serviva di centro un cembalo, agitato e percosso dal rispettivo cembalista. In qualche gruppo una fisarmonica si accompagnava col cembalo. Voi intendete che cosa vi si facesse».

«Che cosa vi si faceva?» mi si domanda da più parti.

«Oh bella! si ballava a piacere; così all’aria libera, al chiarore delle stelle. A vedere con che foga, con che disinvoltura, quei giovanotti, quelle donzelle, si aggiravano, spiccando capriole e salti, appoggiando le mani sui fianchi, e toccandosi rusticamente coi gomiti....».

Mentre facea questa descrizione, vedeva le mie nipotine porsi le mani sui piccoli fianchi, e agitarsi, con quell’aria che dice: che gusto esser là a ballare al chiaro di luna! Carletto spinse la frenesia al punto di mettersi a danzare davvero, cantando ti-ri-ti-ti, ti-ri-ti-ti; il che gli tirò addosso uno scapezzone della mamma, che egli schivò bravamente, con una curva che lo fece parer molto simile al delfino, quando mostra l’arco del dorso, e scompare in seno alle onde. Cessata l’ilarità, provocata da quel-