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cipale, che dalla Chiesa stessa conduce alla gran piazza. È una via fiancheggiata da botteghe, ove si esercita un sol genere di commercio; vi si vendono cioè quegli oggetti, per la maggior parte di divozione, di cui si fa mercato presso tutti i santuarî del mondo. Primeggiano, per la loro abbondanza e varietà, i rosarî e i cembali».

«Come?...» interruppe la Chiarina: «che ci hanno a che fare i pianoforti coi rosarî? I pianoforti non si vendono così sulla piazza come le trombette di legno».

«Non ho detto pianoforti.... Sarebbe in vero un lusso soverchio, mia cara, pei poveri pellegrini, che mantengono aperte quelle botteghe. Siamo noi Lombardi che diamo il nome di cembalo al clavicembalo o pianoforte. Ma quando io voglio parlare il toscano.... l’italiano.... come vi piace.... cioè la lingua che si deve parlare e scrivere, mi guarderò bene, per quanto il Carena me lo consenta, dal chiamare cembalo il pianoforte.

» Il cembalo è tutt’altra cosa. Io lo credo il protoparente di tutti gli strumenti musicali. Ei ci venne dai Romani, che l’ebbero, io penso, dai Greci, i quali lo ereditarono probabilmente dagli antichi popoli dell’Asia, nominatamente dagli Ebrei, che salmeggiavano in cymbalis bene sonantibus, e lo presero forse dai patriarchi a cui sarà stato trasmesso dall’antidiluviano Iubal, padre dei suonatori di cetra e d’organo. È proprio un arnese antidiluviano. Ma benchè vanti antichissima prosapia, si mantenne sempre democratico. Batte le piazze, i trivi, le bettole; anima le danze dei villici, e mantiene l’allegria nella capanna del povero, non invidiando al moderno aristocratico pianoforte gli splendori delle sale dorate, ove si spesso rintuona tra gli sbadigli che la musica di moda, sotto il pomposo titolo di classica, ha reso più lunghi e sonori».

«Ma insomma» replicò, la Chiarina un po’ impazientita, «io nol conosco codesto strumento».

» Presso noi Lombardi è infatti caduto quasi totalmente in disuso. L’avrai visto però qualche volta nelle mani di un giocoliere, di un cantastorie di cattivo genere, che lo agitava, lo batteva col rovescio della mano, o, strisciandovi sopra col polpastrello inumidito del pollice o del medio, ne traeva un fremito, un rombo, imitante il suono del timpano».

«Ah! capisco, capisco! il tamburello».

«Appunto, quel tamburello, costrutto a guisa di crivello, che consta cioè di un cassino, formato con largo cerchio di legno,