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10 serata i

era anche la prima sera di convegno. Ve li trovai tutti, bambini, mamme, babbi, oltre un gruppo di conoscenti grandi e piccoli. Non vi dico, per modestia, la festa che mi hanno fatta, e specialmente il chiasso, lo squittire dei bambini, i quali pensarono tosto ch’io avrei loro raccontato, come faceva talora nell’anno precedente, una bella storiella.

Dopo i convenevoli, ecco l’inevitabile: racconta! racconta!

«Raccontarvi?... così subito?... che cosa?...».

«Raccontaci, raccontaci!...» E qui chi saltella, chi batte palma a palma, chi ti trascina per la mano, chi per le falde dell’abito. E bisogna sedere e, quel ch’è peggio, raccontare. L’impresa è difficile. Di solito tu siedi senza nemmeno aver fissato il soggetto della narrazione. Ti vedi dattorno bambini d’ambo i sessi: alcuni appresero appena a distinguere la destra dalla sinistra (a furia di fare il segno della santa croce); altri invece sanno già conjugarti senza intoppo anche il verbo cuocere; e ve n’ha taluno che già parteggia per Pompeo o per Cajo Cesare. Chi non vuol saperne d’altro che delle panzane; chi già sente la smania dell’apprendere e del vederci a fondo. Poi vengono le mamme che, presenti col solo pretesto di far zitto, di correggere le smorfie, di dar sulla voce alle sgraditaggini dei loro bambini, han gusto di udire, pigliano interesse alla narrazione, fanno il critico se fa d’uopo, costituiscono insomma la porzione esigente del pubblico. Non parlo poi dei babbi e dell’altre persone più serie, che ti ascoltano per compiacenza, ma ti obbligano ad ogni tratto, senza avvedertene, a cambiar stile, e a dir cose che proprio pei fanciulli non farebbero.

Ecco la posizione in cui mi trovai fin da quella prima serata.

«Che cosa debbo raccontarvi?» ripetei.

«Una bella panzana», risposero in coro i piccini.

«Ma se ne ho vuoto il sacco».

«Ebbene inventane dell’altre».

«Oggi non mi dà l’estro».

«Ebbene», scappò a dire Camilla, «narraci qualche cosa dei tuoi viaggi».

«De’ miei viaggi?... Misericordia!... Ma io non fui nè tra gli Indiani che muojono stringendo con gran devozione la coda di una vacca; nè tra i Groenlandesi che mungono la renna e scavansi nel ghiaccio i palazzi; nè tra i Chinesi, che infilzano il riso con due stecchi grano per grano, mentre noi se ne ingolla un centinajo ad ogni cucchiajata; nè tra i selvaggi dell’Australia che fanno allesso e arrosto de’ cristiani....».