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dalle mura furtivi e fuor di tempo. Oh! quanto è bella anche d’inverno. Di primavera poi.... Per tutto al di fuori si fa intanto quella quiete, quel silenzio, palpabile, visibile, che si spande nel fitto del bosco, quando, al cadere del vento, cessa ogni stormire di fronde.

Entro le mura della città si svolge affatto contraria la scena. L’inverno è la stagione cittadina per eccellenza: la stagione dei convegni, degli studî, degli affari. Le porte della città, quasi altrettante foci di fiumi, riversano in quel mare magno la popolazione dispersa. È un curioso spettacolo il vedere quella serie di equipaggi, che hanno un’impronta così caratteristica; quelle pariglie, che non han nulla di pari; quei cocchieri improvvisati; quella popolazione di reduci, così variopinta. Donne avviluppate nei loro scialli; bambini con tutte le gradazioni di tinta sulle guancie, dal bianco all’incarnato, dall’incarnato al rosso, dal rosso al pavonazzo, dal pavonazzo al livido, intirizziti dal freddo, tramortiti dal sonno, rotto bruscamente da una levata anticipata, con tanto di broncio per l’idea del ritorno al chiuso. Bauli davanti, di dietro, di sotto, di sopra: cassette, fardelli d’ogni peso, d’ogni forma: involti e battuffoli majuscoli e minuscoli, che contendono il posto alle gambe, alle costole de’ viaggiatori. Aggiungi, secondo i casi, altri pezzi caratteristici di quello strano conglomerato. Un pajo di capponi, avanzi di una stia, che suppli tante volte al difetto del macellajo, nelle improvvise invasioni di ospiti affamati: funghi secchi, malva, camomilla. Aggiungi i trofei dei bambini e delle bambine: un vaso di fiori, da collocarsi sulla loggia verso corte: un uccelletto, fatto preda dal fratello di latte del padroncino, e che viene a morire di stento in città: un cagnolino, regalato dal fattore: un micino donato dalla fattora: e così via via. Conosco un bambino che se ne veniva portando seco dalla campagna una coppia di topolini, forse per un tentativo di acclimazione di bestie così rare. In fine tutti quegli equipaggi portano scritto, in mille caratteri diversi, lo stesso motto.... Ritorno dalla campagna.

Questa descrizione, per vero dire, sente un po’ troppo delle reminiscenze di un tempo che fu. Ora le ferrovie hanno usurpato assai, e diminuita la poesia di quel ritorno universale. I reduci si riversano a sgorghi potenti, quasi travolti da un torrentaccio, gonfiato ad intervalli da diluvî temporaleschi: una folla che attende si fonde ad intervalli con una folla che arriva; e risuonano i saluti, e scoppiano i baci e si fa in grande ed in pubblico sulle soglie delle città, ciò che prima si faceva alla spicciolata ed in privato su quelle delle case.