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126 serata vii

in tempo di stringere la mano agli amici che vi erano accorsi, e trovarvi dei graditi compagni nella spedizione, ch’era il mio scopo principale. Non potevo essere infatti più fortunato; all’alba del 29 eravamo sei, in una capace vettura a due cavalli, che doveva portarci fin dove è permesso di studiare geologia senza scomodarsi di troppo.

6. » Passammo il ponte, sotto cui, da una forra angusta e terribile, una delle più belle dell’Alpi, il torrente della Val di Vedro, venendo dal Sempione, si getta nella Toce; e cominciammo a salire, rimontando la valle, che si ripiega bruscamente a settentrione, pigliando il nome di Vall’Antigorio ove comincia, e quello di Val Formazza ove termina. La prima parte, cioè la Vall’Antigorio, è assai pittoresca; ma non ancora impressa delle severe bellezze dell’Alpi. Queste ci appajono soltanto più su, nella Val Formazza la quale davvero merita di figurare, senza tema di confronto, tra le più stupende gole dischiuse nella grande ca tena. Si lascia la vettura a S. Rocco, e si continua la salita a piedi, per un sentiero praticabile ai cavalli. Da S. Rocco al Salto della Toce, vi saranno cinque ore di faticoso cammino.... che dico cinque ore di delizie, in seno ad una fenditura profonda che ad ogni tratto muta d’aspetto, ma sempre maestosa e vorrei dire sublime. Se prima si camminava fra gli schisti e il gneiss che si sfaldano in lamine sottili, ora ti vedi in mezzo a graniti, che rotti in prismi giganteschi, danno alle montagne l’aspetto di edificî eretti da tal razza di giganti che i Ciclopi1, al paragone, dovevano parere pigmei. Forse in nessun altro luogo il geologo può ammirare nè così eccelse, nè così chiare, le impronte degli antichi ghiacciai. Quando questi signori dei più sublimi recessi pigliarono le mosse, e spinti da una forza misteriosa, a guisa di un esercito, si cacciarono giù per le gole alpine, varcarono i limiti della grande barriera, si dilagarono nel piano, e convertirono in deserti le amene regioni dei nostri laghi2;

  1. Secondo le favole greche i Ciclopi furono giganti mostruosi, figli di Urano (il Cielo) e di Tellure (la Terra). Avevano un sol occhio rotondo in mezzo alla fronte onde il nome di ciclope che vale dall’occhio circolare. Erano a centinaja, la più parte fra cui Polifemo vivevano da pastori su pei monti della Sicilia; i principali, come Bronte, Sterope, e Piracmone, lavoravano con Vulcano, dio del foco e delle arti fabbrili, nella sotterranea fucina dell’Etna, dove fabbricavano i fulmini a Giove, e le armi agli dei e a’ semidei. Furono poi chiamate ciclopiche certe antichissime costruzioni murarie, di cui rimangono mirabili avanzi in Grecia e in Italia, formate per lo più di macigni irregolari, artificiosamente collocati in modo che combaciassero d’ogni parte fra loro.
  2. Si richiami quanto fu esposto, circa l’invasione degli antichi ghiacciai, nella Serata precedente § 7-9.