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SERATA I


Da Belluno ad Agordo.

Il ritorno dalla campagna, 1. — Il mio uditorio, 2. — Le Alpi Carniche, 3. — Un equipaggio mal equipaggiato, 4. — La gola del Cordèvole, 5. — Agordo, 6. — Una milizia sotterranea, 7. — Festa di nuovo genere, 8.


1. L’Ognissanti, il dì de’ Morti, S. Carlo, S. Martino, sono tutti sinonimi per que’ cittadini, che hanno la buona fortuna di rifarsi in campagna delle fatiche sostenute, o che dovevano sostenere in città. Tutti insieme quei nomi descrivono un certo breve periodo di tempo, oltre il quale i villeggianti, vogliano o non vogliano, debbono aver lasciata la vita eccezionale per la nor male, la poetica per la prosastica, la varia per la uniforme, insomma la vita libera e lieta della campagna per la vita schiava ed uggiosa della città.

I venti soffiano gelati dalle cime nevose delle Alpi: dalle nubi, che coprono di un bigio uniforme il sereno del cielo, e accorciano un giorno già corto, cadono le pioggie fredde ed uggiose: le brine imbiancano i campi, presaghi di più bianca canizie. Spento è il sorriso dei colli: i giardini sono spogli di fiori: le piante vanno perdendo una chioma già ingiallita e rada. Lo squallore di tutta la campagna rende men doloroso l’addio.

Le sponde de’ laghi, le immense distese dei campi, gli ameni villaggi, dove poc’anzi risuonavano i gridi di liete brigate, sfolgoreggiavano i cocchi, le livree, gli strascichi, rientrano nella loro quiete, si rinchiudono nella loro semplicità. La campagna ritorna campagna, e campagna nel suo ideale più bello; quella campagna, che i cittadini non gustano mai, o solo talvolta uscendo