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118 serata vii

falle: bellimbusti effemminati, che un freddo alito atterra. I nostri sono piccoli spartani; cuori grandi in piccol corpo.

Poveri uccellini! donde venite? dove andate per questo deserto, cui non rallegra nè un fiore, nè una foglia? E voi cantate? cantate ancora come quando, di primavera, vi affannavate per dolcissima sollecitudine intorno al nido della prole futura? voi cantate come quando d’autunno, lieti di libera prole, vi spandevate a sciami, invisibili signori delle montane foreste? —

— E perchè no? Quel Dio che ci ha tessuto questo bel mantellino, così giusto alla vita, così soffice, così calduccio, ci avrà sparso anche il becchime sul sentiero del deserto, su cui ci siam messi per ubbidirlo. —

Tutto tace di nuovo, e il silenzio si accorda coll’uniformità dell’immenso bagliore che copre, come un magico velo, il monte, il piano, la valle, i villaggi, le città. Tutto investe, tutto penetra la brina, a quella guisa che il musco riveste i tronchi dal lato che guardano a settentrione, o la muffa i corpi fracidi, nascondendovi, sotto il manto della vita, il terribile lavoro della corruzione1. Le piante hanno rimessa, quasi per incanto, la chioma, ma quella chioma è canuta. I fiori e le foglie son di cristallo; ogni fronda è un vezzo di diamanti; ogni erbetta un serto di gemme.

Che sono mai quelle filze di cristallini che descrivono una curva così vaga tra i rami, quasi monili pendenti dal collo di ninfe invisibili, o son tese come corde dall’uno all’altro, o pendono oscillanti come orecchini? Ecco: i ragni avevan trovato il modo di rendere così fini i loro fili che il sole non li scoprisse; ma la brina ne rivela il misterioso ordito, al cui segreto si affida la vita insidiosa di quegl’industri animaletti.

Volgiamoci alla città. Come in giorno di sagra si suol rivestire di musco gli archi trionfali, secondandone tutte le linee architettoniche; così la brina ricorre gli spigoli dei tetti, delle facciate, dei monumenti. Cornici, barre, cancelli, tutto è disegnato in rilievo da essa. Anche i fili telegrafici s’ingrossano in funi di cristallo. — Perchè a quel muro, roso dal tempo, fradicio per l’umidore, si abbarbica di preferenza la brina e l’adorna di ciuffetti cristallini delicatissimi? Saranno i muschi, le erbacce nudrite dallo sfacelo, incrostate dalla brina, come l’erbe del prato.... Ma no; se li esamino, quei ciuffetti non hanno anima

  1. È noto che la muffa è un vegetale, e più propriamente una pianta crittogama.