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per l’insegnamento della rètta pronuncia | 7 |
Non faccio nemmèn questione del dove in Itália si debba andar a prèndere quel mòdo di pronúnzia, a cui deva cercare almeno d’accostarsi, come a tipo, chiunque lègga o parli, onde sia unica la pronúnzia dell’italiana favèlla. Se (lasciando pur sèmpre apèrta la partita per tutto ciò che v’ha ancora di discutibile ragionevolmente) ormai è ammesso, anche dai piú restii al pensièro manzoniano, doversi, in via di mássima, riconóscere anzitutto nella parlata toscana il tipo dell’italiano idiòma; ne viene di conseguènza che la Toscana divènti anche la legislatrice dell’italiana pronúnzia. Ma qui sta il busillis. Se alcune règole di pronúnzia pur ci sono anche per una parte della lingua italiana, io credo che per la mássima parte essa ne difètti ancora, e non sia nemmeno possibile stabilirle; onde, se l’usus te plura docebit sèrve a riempire qualche vuòto nelle règole della prosodía latina, finisce ad èssere per l’italiana la règola generale per non dire l’única.
— Manderemo dunque d’ora innanzi tutti i nòstri bambini in Toscana, perché colle vérgini orécchie s’imbévano delle dolcezze della lingua italiana parlata? ovvero faremo una legge che a nessuno, il quale non sia toscano, sia permesso d’insegnare la lingua italiana?
Nò; non dubitate che si vòglia uscir mai dal campo prático. Non vogliamo nò confóndere la música, e quasi vorrei dire voluttuosa melodía, della parlata toscana, quale ci fa rimanere a bocca apèrta, quando il caso ci pòrti su per le pendici del pistoiese Appennino, affaticate dal Giusti e dal Giuliani; non vogliamo confóndere quanto v’ha in Toscana di veramente nativo, di essenzialmente orgánico nella parlata (che non lascia anche talora d’èssere difettoso e sgradévole), nelle inflessioni della voce, nella modulazione delle paròle, in quella vocalizzazione compléssa, la quale troverebbe, non giá negli accènti, ma a mala pena nelle nòte musicali la sua gráfica espressione; non vogliamo, dico, confóndere tutto questo con ciò che per noi si chiama semplicemente rètta pronúnzia. Quella rètta pronúnzia, la quale consiste, piú che in altro, nel fare una síllaba piuttòsto brève che lunga, nel pronunziare cèrte vocali piuttòsto apèrte che chiuse, insomma nell’uniforraarsi all’uso dei bèn parlanti, cosí anche giovando alla perfètta intelligenza delle paròle.