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ziamo verso l’Oriente i ritardi diventano inverosimili. Che cosa deve succedere in China?

Il treno attraversa un bel paese. Talvolta si scorgono piccole ville, o castelli appollaiati sopra colline dirupate che ricordano i castelli dei vecchi messali; talvolta si costeggiano fiumi dall’acque limpide. Ad ogni stazione gruppi di contadini in costumi nazionali. Le donne son graziose da lontano, ma viste da vicino appaiono massiccie e volgari. Indossano camicette di cotonina bianca e grandi cinture di colore sopra gonne a crespe.

Gli slovacchi sembrano dei barbari con i loro gran cappelli da cowboys, gli ampi calzoni di un bianco sporco e le enormi cinture di pelle dai fermagli d’ottone. Calzano stivali enormi, portano i capelli lunghi e folti baffi neri. Non farebbe piacere incontrarne uno nell’angolo d’un bosco.

Siamo giunti a Bistritz verso sera. È una vecchia cittadina pittoresca, sulla frontiera.

Il conte Dràcula m’aveva indicato l’albergo della Corona d’Oro, ov’ero aspettato: un’ostessa dall’aria sveglia, vestita del costume nazionale e col grembiulino ricamato mi diè il benvenuto.

— Il signore inglese? — mi chiese.

— Sì, Jonathan Harker.

Sorrise, fe’ un segno a un vecchio che disparve e tornò di lì a poco con una lettera per me.

Lessi quanto segue:

«Amico mio, siate il benvenuto nel nostro paese. Vi aspetto con impazienza. Vi auguro la buona notte. Domani alle tre, prendete la diligenza che va da Bistritz a Bukovina. La mia vet-