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dracula 31

corridoi, tentando d’aprir le porte. Invano. Una o due, tuttavia, erano spalancate: le stanze non racchiudevano nulla di notevole, ma soltanto vecchi mobili polverosi e tarlati. In cima ad una scala una porta cedette dopo qualche resistenza.

Dava adito all’ala sud. Come l’altra, domina un precipizio. Mi rendo conto che il castello è costrutto sopra una collina e circondata per tre lati da un abisso. All’ovest si stende la vallata e sullo sfondo s’ergono le montagne. È in questi appartamenti che si viveva, senza dubbio, or sono alcuni anni, poiché i mobili qui sono più comodi che altrove.

La luna, dalle finestre senza tende, versa il suo chiarore e la mia lampada non serve a nulla: ma la sua piccola fiamma mi riscalda il cuore.

Questo posto mi piace, non vi sento la detestata presenza del Conte. Mi sono seduto davanti a un tavolino di quercia ove forse, nel passato, qualche bella dama scarabocchiò la sua corrispondenza amorosa e ho stenografato nel mio giornale il racconto di queste ultime ore.

16 maggio, mattina.

Purché io non diventi pazzo! È il mio solo timore.

Per fortuna posso analizzare e scrivere per disteso le mie impressioni; è un gran sollievo.

I misteriosi avvertimenti del Conte non erano superflui: non dubiterò più di lui, nell’avvenire.

Perchè ebbi l’imprudenza di disobbedirgli?

Finito ch’ebbi il mio giornale, non volli lasciare il luogo ospitale, tirai fuor dall’alcova