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Van Helsing mi lanciò uno sguardo significativo.

Pensai che ella non avrebbe parlato più. Infatti di lì a poco riaperse gli occhi e disse con voce naturale:

— Non volete una tazza di thè? dovete essere stanchi.

E uscì per preparare il samovar.

— Vedete, amici miei — disse allora Van Helsing — egli è uscito dal feretro ma non è ancora a terra. Se non sbarca prima di domani mattina, arriveremo a tempo.

Stanotte non ci siamo coricati per poter interrogare la signora Harker prima del sorger del sole. Van Helsing stentò ancor di più ad addormentarla.

— Tutto è buio — diss’ella. — Odo il rumore delle onde e un leggero scricchiolìo.

In quel momento, il disco rosso del sole s’è alzato. Ella tacque. Non sapremo nulla d’altro fino a stassera.

Arriveremo a Galatz fra le due e le tre del mattino. Ma già a Bukarest ebbimo tre ore di ritardo. È promettente!

Un po’ prima del tramonto, Van Helsing ha nuovamente addormentato la nostra medium, con fatica. Temo che la sua facoltà di leggere nel pensiero del Conte si attenui proprio quando ne avremmo maggior bisogno. Invece di attenersi ai fatti, si esprime con enigmi.

— Qualche cosa si allontana; lo sento passarmi accanto come una brezza fresca. Odo in lontananza rumori confusi: degli uomini si esprimono in una lingua straniera. Odo una potente cascata d’acqua e gli urli dei lupi.