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morò sottovoce alcune parole che tradussi così: «siamo in anticipo d’un’ora».

Si volse verso di me e pasticciò in tedesco:

— Non ci sono vetture. Certo il signore non è aspettato questa sera; non gli resta che venire con noi fino a Bucovina, il che sarà meglio.

Ma in quel momento i cavalli diedero segni d’agitazione e nitrirono. Un calesse tirato da quattro magnifici cavalli neri venne ad allinearsi accanto alla diligenza. I viaggiatori si fecero il segno della croce.

Un uomo di bella presenza, dalla lunga barba rossa con un cappello di feltro nero calcato in testa, che gli ricopriva in parte il viso ci s’accostò. I suoi occhi brillanti avevano uno splendore di bragia.

— Siete in anticipo stassera, amico mio — disse al conduttore.

Costui balbettò una scusa:

— Il gentleman inglese aveva fretta, — disse.

— È per questo che volevate condurlo fino a Bucovina. Non tentate d’ingannarmi, amico mio, sarebbe inutile.

Un sorriso crudele gli spaccò la bocca e scoperse fra le labbra rosse dei denti acuti e bianchi come l’avorio.

— Datemi il bagaglio del gentleman — disse.

Io salii nel calesse, mentre lo strano conduttore prendeva le redini e, senza rivolgermi una parola, lanciava i cavalli sopra una strada oscura. Udii la diligenza allontanarsi e provai allora un sentimento penoso di solitudine. L’uomo si volse verso di me, per buttarmi una coperta sulle ginocchia.

— La notte è fredda, mein Herr — disse in