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picchi nevosi che al tramonto si sfumarono di rosa. C’imbattevamo in rari passanti, degli slovacchi in costumi pittoreschi. Alcuni avevano un gozzo orrendo.

Lungo la strada sorgevano delle croci. Davanti a ognuna, i miei compagni si facevano piamente il segno della croce.

La notte s’annunziò fresca e mi abbottonai il mantello fino al collo. La strada saliva; il valico era vicino. Le stelle brillarono; dei fuochi scintillavano qua e là, nella campagna. Il conduttore si fermò per accendere le sue lanterne poi l’ascesa ricominciò. Chiesi di scendere per sgranchirmi le gambe.

— No, no. — disse il conduttore con vivacità — i cani sono cattivi da queste parti e incorrerete già in altri pericoli, fra poco.

Quando la notte fu interamente scesa, regnò un’animazione singolare. La diligenza s’avanzava a gran trotto eppure i viaggiatori eccitavano il conduttore ad andare ancora più in fretta. Egli con il lungo frustino spronava i cavalli, incoraggiandoli con la voce. Pareva che le montagne ci corressero incontro; la strada diventò migliore, si entrava nel Passo del Borgo.

Dietro i vetri, i viaggiatori cercavano con lo sguardo di forare l’oscurità. Che aspettavano? Li interrogai ma non poterono o non vollero spiegarmi la causa della loro inquietudine.

All’uscire dal passo, cercai con gli occhi la vettura del conte e non vidi nulla. Le nostre lanterne soltanto gettavano sulla strada una luce vacillante. I miei compagni tornarono a sedersi con un sospiro di sollievo, e il conduttore mor-